DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2020

Nella giornata del 29 aprile 2020, il Senato ha approvato il Documento di Economia e Finanza (DEF), votato dalla Camera in data 24 aprile 2020. Tutte le stime ed i numeri riportati nel presente articolo derivano dall’applicazione della metodologia del SEC 2010, sistema con il quale sono redatti i conti pubblici. Per semplificare la trattazione del DEF, si sono commessi degli errori di natura metodologica, come a titolo d’esempio la differenza tra inflazione e inflazione interna, PIL e PIL nominale, ecc. Il DEF rappresenta un contenitore all’interno del quale sono contenute tutte le voci di spesa di uno Stato: dagli investimenti pubblici alla spesa per gli Enti Previdenziali, dall’indebitamento agli sgravi fiscali, dalla stima delle entrate delle tasse alle spese degli Enti Locali e così via. Il documento si compone di due sezioni: il programma di stabilità e l’analisi e tendenze della finanza pubblica. Nella prima, si ricostruisce l’andamento e le dinamiche economiche dell’anno passato, verificandone gli scostamenti con le previsioni fatte e considerando le previsioni per gli anni futuri attraverso delle variabili aggregate; nella seconda, ci si sofferma nel dettaglio dei conti pubblici. L’articolo sarà strutturato in due grandi tematiche: l’andamento economico del 2019 e le previsioni complessive di entrate e uscite per gli anni 2020 e 2021.

Nel 2019 il PIL, il Prodotto Interno Lordo, ossia la “ricchezza” prodotta da uno Stato, è cresciuto dello 0,3% rispetto all’anno precedente e il deflattore del PIL si è attestato allo 0,9%. Il deflattore del PIL è uno strumento statistico che consente di “depurare” la crescita del PIL dall’aumento dell’inflazione. L’inflazione, ossia il tasso percentuale di aumento dei prezzi, è un indicatore dell’andamento dell’economia, in quanto, se la domanda di beni aumenta, ne aumenta l’offerta e di conseguenza il prezzo. Un aumento del costo genera, a sua volta, maggiori ricavi per le aziende, maggiori entrate per lo Stato e un aumento dei redditi dei lavoratori. L’inflazione si calcola “come media” su un paniere di beni, i quali sono raggruppati nelle seguenti categorie: prodotti alimentari e bevande analcoliche; bevande alcoliche e tabacchi; abbigliamento e calzature; abitazione, acqua, l’elettricità e combustibili; mobili, articoli e servizi per la casa; servizi sanitari e spese per la salute; trasporti; comunicazioni; ricreazione, spettacoli e cultura; istruzione; servizi ricettivi e di ristorazione; e altri beni e servizi. Rappresenta, inoltre, un importante indicatore economico, in quanto esiste uno stretto legame con l’occupazione (la così detta curva di Philips). Nel 2019, la disoccupazione si è attestata al 10%, restando alta la percentuale del part-time involontario, pari al 64,2% delle ore totali di lavoro a tempo parziale, a dimostrazione del fatto che l’occupazione è caratterizzata da una bassa intensità lavorativa. Per disoccupati si intende quella categoria di persone non occupate di età compresa tra i 15 e i 74 anni che hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro e sono disponibili a lavorare. Altresì, nel gergo comune, con il termine disoccupati si intende la somma dei disoccupati ed inattivi. Per inattivi si intendono quelle persone che non sono classificate come occupate o in cerca di occupazione. Altre importanti variabili nel bilancio di uno Stato sono il rapporto debito PIL, attestato al 134,8%, la spesa per interessi, al 3,4% e l’avanzo primario che si è attestato all’1,7%. L’avanzo primario è il surplus fiscale registrato dal bilancio pubblico al netto della spesa per interessi sul debito pubblico, cioè ciò che resta in cassa allo stato, dopo avere pagato tutte le spese, ma prima di avere saldato gli interessi sul debito. Rappresenta un indicatore della sostenibilità dei conti pubblici, in quanto un paese con un disavanzo primario crea nuovo debito, indipendentemente da quale sia il suo costo. Entrando nello specifico della contabilità nazionale, le entrate totali in rapporto al PIL si sono attestate al 47,1%, mentre le spese al 48,7%. Tra le voci di spesa, le maggiori sono rappresentate dai trasferimenti sociali (pensioni, sussidi e simili) e della spesa per redditi da lavoro dipendente, che si sono attestati rispettivamente al 22,8% del PIL ed al 9,7% del PIL. La spesa per i trasferimenti sociali rappresenta il 46,7% della spesa delle pubbliche amministrazioni e quella per redditi da lavoro dipendente il 19,90%. Entrando più nel dettaglio delle prestazioni sociali in denaro (pensioni e sussidi), le pensioni incidono per il 15,4% del PIL. La spesa sanitaria si è attestata al 6,5% del PIL. Tra le entrate si nota che quelle tributarie rappresentano il 28,9% del PIL ed il gettito IVA si registra al 12,67% delle entrate totali. Concretizzando le percentuali, le entrate ammontano a 841,441 miliardi, le spese a 870,742 miliardi, di cui la spesa per i trasferimenti sociali a 407, 024 miliardi, la spesa per i redditi da lavoro dipendente a 173,253 miliardi e la spesa sanitaria a 115,448 miliardi. Mentre, le entrate tributarie ammontano a 516,542 miliardi e il gettito IVA a 106,670 miliardi. Come ultima variabile, si considera la pressione fiscale, attualmente attestata al 42,4% del reddito medio, ossia la quota di reddito prelevato dallo Stato o dagli Enti Locali tramite imposte, tasse, tributi, allo scopo di finanziare la spesa pubblica.

Nel DEF le previsioni per il 2020 e 2021 sono formulate su due scenari: uno “base” e uno “peggiorativo”. Si analizzerà principalmente il primo, riportando per il secondo solo l’impatto negativo sulla crescita del PIL. Per affrontare una dettagliata esposizione del modello “peggiorativo” si dovrebbe considerare l’analisi di sensitività di un modello econometrico, che rappresenta una tematica alquanto tecnica e complessa. Lo scenario “base” prevede che le misure di chiusura dei settori produttivi non essenziali e di distanziamento sociale vengano attenuate a partire dal mese di maggio e che l’impatto economico dell’epidemia si esaurisca completamente solo nel primo trimestre del 2021. La contrazione del PIL nel 2020 sarebbe spiegata per circa un terzo dalla caduta dagli scambi commerciali e per la rimanente parte dalle politiche di distanziamento sociale e dalle diverse dinamiche comportamentali dei consumatori a livello nazionale. I consumi delle famiglie scenderebbero in misura lievemente inferiore al PIL, mentre assai più accentuato sarebbe il crollo degli investimenti. Nel 2020 il PIL subirebbe un calo dell’8% rispetto 2019 con il deflattore del PIL che si attesterebbe all’1% e la disoccupazione all’11,6%. Il rapporto debito PIL salirebbe al 155,7%, la spesa per interessi crescerebbe lievemente all’3,6% ed il disavanzo primario toccherebbe il 10,4%. Entrando nello specifico della contabilità nazionale, le entrate totali in rapporto al PIL raggiungerebbero il 47,7%, mentre le spese il 54,8%. Tra le voci di spesa, i redditi da lavoro dipendente salirebbero al 10,6% del PIL e le prestazioni sociali in denaro si attesterebbero al 23,2%, di cui le pensioni rappresenterebbero il 73,18% (o in alternativa il 17% del PIL). Il forte aumento di questa voce di spesa sarebbe dato dalle così dette “Altre prestazioni sociali in denaro”, che passerebbero dall’4,5% del PIL nel 2019 al 6,4%. L’aumento di questo conto deriva dagli aiuti economici in denaro che il governo ha posto in essere a sostegno dei lavoratori e delle famiglie per fronteggiare le conseguenze economiche derivanti dall’emergenza sanitaria e dall’incremento ed estensione della prestazione assistenziale. Dato l’aumento di spesa, l’aumento della disoccupazione e il ricorso a strumenti quali la cassa integrazione, la pressione fiscale salirebbe al 42,5% del reddito medio. Per quanto riguarda la spesa sanitaria, essa dovrebbe aumentare ed attestarsi all’7,2% del PIL.
Nel 2021 il PIL crescerebbe del 4,7% rispetto al 2020 con il deflattore del PIL che si attesterebbe all’1,4% e la disoccupazione all’11%. Il rapporto debito PIL calerebbe al 152,7%, la spesa per interessi resterebbe invariata all’3,6% ed il disavanzo primario scenderebbe al 2%. Entrando nello specifico della contabilità nazionale, le entrate totali in rapporto al PIL raggiungerebbero il 48%, mentre le spese il 52,3%. Le entrate sconteranno un aumento, in quanto la legge di Bilancio per il 2020 prevede che a gennaio 2021 l’aliquota ordinaria dell’IVA salirà dal 22% al 25%, quella ridotta passerà dal 10% al 12 % e si avrà, inoltre, un aumento delle accise sui petroli. Il gettito aggiuntivo IVA sarebbe pari all’1,1 % del PIL. Tra le voci di spesa, i redditi da lavoro dipendente scenderebbero al 10,3% del PIL e le prestazioni sociali in denaro calerebbero al 22%, di cui le pensioni rappresenterebbero il 74,62% (o in alternativa il 16,4% del PIL). Il calo di questa voce di spesa sarebbe da attribuire alla diminuzione della voce “Altre prestazioni sociali in denaro”. La pressione fiscale salirebbe al 43,3% e la spesa sanitaria dovrebbe calare e attestarsi all’6,9% del PIL, ma in aumento rispetto al 2020 (nel 2021 la spesa raggiungerebbe i 121,083 miliardi contro i 119.556 miliardi del 2020).

Lo scenario “peggiorativo” prevede un ulteriore lockdown in autunno che comporterebbe un ulteriore deterioramento della crescita del PIL pari al 2,7% nel 2020 ed al 2,4% nel 2021. Ciò comporterebbe una crescita del PIL pari a -10,7% nel 2020 ed al 2,3% nel 2021.

La legge di Bilancio per il 2020 prevede a gennaio 2022 un ulteriore aumento dell’aliquota IVA ordinaria al 26,5% ed un nuovo ritocco delle accise. Il gettito aggiuntivo sarebbe pari all’1,4% del PIL nel 2022. L’impatto sulla crescita del 2020 del DL 18/2020 (il così detto decreto Cura Italia) è dello 0,5% e il suo impatto sull’indebitamento è pari a 20 miliardi. Si conclude, riportando le stime di crescita del PIL italiano nel 2020 calcolate su uno scenario “base” dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla Commissione Europea pari rispettivamente a -9,1% ed a -9,5%.

Ludovico Alberto Valenza

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