CAMBIAMENTO CLIMATICO: A CHE PUNTO SIAMO?

di Filippo Carpenedo – Studente di Cultura umanistica e divulgazione e redattore di Lexacivis

“La questione climatica sarà una priorità assoluta”: queste sono le parole del neopresidente americano Biden che segnano una netta (e storica) rottura con la politica indifferente e negazionista del suo predecessore per quanto riguarda la crisi climatica. Lo mette nero su bianco con una raffica di provvedimenti tra i quali c’è quello che prevede il ritorno degli Usa all’interno dell’intesa internazionale sul clima dopo che, nel 2017, Trump aveva scelto di uscirne, suscitando polemiche in tutto il mondo.

Con una nota, l’Alto rappresentante Ue Josep Borrel “accoglie con favore la decisione del presidente Biden di far rientrare gli Stati Uniti nell’accordo di Parigi sul Clima” e aggiunge: “Non vediamo l’ora di avere di nuovo gli Usa al nostro fianco nel guidare gli sforzi globali per combattere la crisi climatica, una sfida decisiva del nostro tempo che puo’ essere affrontata solo unendo tutte le nostre forze”. Frans Timmermans dà appuntamento agli Stati Uniti al COP26 di Glasgow (la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà il prossimo novembre) con la convinzione che “se tutti i Paesi si uniranno nella sfida globale, l’intero pianeta vincerà”.

Anche i piccoli Stati insulari del mondo (tra i più minacciati dal riscaldamento globale) hanno accolto con soddisfazione la decisione del presidente americano di rientrare nell’accordo di Parigi sul clima, invitandolo a proseguire nell’impegno a protezione del Pianeta. Con una lettera, l’Aosis (l’Alleanza degli Stati insulari) evidenzia l’importanza “di proteggere la comunità globale dalle conseguenze di un maggiore numero di rifugiati, dalla distruzione economica, dalle crisi sanitarie e dall’insicurezza alimentare e dai conflitti”.

Biden ha fissato i suoi grandi obiettivi: zero emissioni del settore della produzione elettrica entro il 2035 e la completa autonomia dai combustibili fossili entro il 2050. Ha inoltre dettato la strada da seguire: stop alle nuove trivellazioni, regole più stringenti per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico, stop ai sussidi per l’industria petrolifera, sostituzione delle vecchie auto a disposizione dei funzionari dello Stato con auto elettriche. Una task force coordinerà tutte le decisioni in materia di climate change insieme al ripristinato “Consiglio degli esperti del Presidente su scienza e tecnologia” che era stato sciolto da Trump.

Ci saranno due figure chiave a guidare questo cambio di rotta: John Kerry, che si occuperà delle azioni statunitensi nel contesto internazionale, e Gina McCarthy che si occuperà delle iniziative a livello nazione. Le parole di Kerry non lasciano spazio a interpretazioni : “Il fallimento non è un’opzione, abbiamo sprecato quattro anni”. Quanto peseranno questi quattro anni? La temperatura del pianeta è già troppo alta: il 2020 è stato l’anno più caldo di sempre.

L’anno più caldo di sempre. Sono stati molti i disastri ambientali riconducibili ai cambiamenti climatici: inondazioni in India e Cina (che sono costate 40 miliardi di dollari), uragani e incendi nelle foreste della California (che sono costati altri 60 miliardi di dollari), sciamo di locuste in Africa che hanno rovinato raccolti e vegetazione (per una perdita intorno ai 10 miliardi di dollari) e molti altri che hanno toccato anche l’Europa e l’Italia. Danni non solo economici, ma anche ambientali e sociali che sono alla base di molte altre crisi, a partire da quella migratoria.

Troppo tardi? Forse no, anche se una cosa è chiara: senza l’apporto concreto degli Stati Uniti, senza accordi con i paesi che più inquinano nel mondo, senza politiche verdi e senza prospettiva futura, la battaglia per garantire alle nuove generazioni un futuro sul Pianeta non si vince.

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