FAKE NEWS E DINAMICHE VIRTUALI: SFIDA AL MONDO CONTEMPORANEO

di Massimiliano Mattiuzzo – Dottore in Filosofia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia

In un articolo di due anni fa comparso su Venerdì – il settimanale di Repubblica – numero 1559, Riccardo Staglian  dialoga con Tristan Harris, ex designer ethicist di Google, su vari temi legati al mondo digitale. Particolarmente interessante è un’affermazione di Harris a proposito dell’economia digitale: essa «Estrae l’attenzione dagli esseri umani come quelli fanno col petrolio. E quando i pozzi scarseggiano, passano a tecniche sempre più aggressive, una specie di fracking del tuo cervello, […] consci che una notizia che suscita scandalo ha molte più probabilità di diventare virale delle altre (ed è quindi più redditizia), di fatto incoraggiando le fake news che pure in pubblico stigmatizzano».

A colpire, in prima battuta, è il fatto che questo discorso venga espresso da un insider (non per nulla Harris successivamente ha abbandonato Google per diventare una di quelle che vengono definite “coscienze della Silicon Valley”); in secondo luogo, quell’affermazione acquista un peso di notevole entità perché racchiude in sé il cuore e i tentacoli del fenomeno straripante legato alle fake news. Come società umana, siamo i primi ad essere di fronte a una totale insinuazione nelle nostre vite di una vera e propria economia dell’attenzione: per i colossi digitali e per l’infosfera – la totalità del mondo dell’informazione, dunque sia digitale che classica – è divenuto imperativo catturare la nostra attenzione, provocarla, infiammarla. Tanto che, insieme ai dati virtuali, l’attenzione umana sta assumendo sempre più i connotati di un oggetto economico e dunque, per definizione, modellabile, scambiabile e acquistabile. Un esempio lampante sono le applicazioni su smartphone che conferiscono all’utilizzatore qualche centesimo in cambio della visualizzazione di video commerciali e pubblicitari.

Il voler catturare l’attenzione, di per sé, non trascina una giudizio negativo: la storia dell’uomo è costellata di queste dinamiche, basti pensare alla politica, all’arte oratoria antica, o alla nascita stessa della dialettica e dei sofismi. Ciò che è divenuto imperativo ai giorni nostri (o che ha sempre cercato di esserlo) è non squalificare, de-valorizzare, sacrificare il contenuto a guadagno dell’attenzione. Anche qui, non si sta parlando di un giudizio negativo o positivo: i colossi digitali e l’infosfera possono rincorrere i propri obiettivi come meglio credono, ma non possiamo – almeno – far finta di non vedere che tutto ci  si combina e impatta profondamente con la societas e gli individui. Ovvero, il grande termine che entra necessariamente in gioco è la responsabilità, ma ci arriveremo.

Credo sia necessario iniziare da un concetto cardine che fa da sfondo al nostro discorso, quasi divenuto uno slogan e a-criticamente accettato: la democraticità di internet. Quante volte abbiamo sentito sbandierare il fatto che internet sia, per sua stessa sostanza, democratico?

Analizzando più in profondità la questione emergono delle incongruenze, che nell’ultimo periodo stanno deflagrando e, almeno in parte, contribuendo al fenomeno delle fake news. Utilizzato in maniera non ponderata, internet è l’esempio più grande di scardinamento delle dinamiche e dei principi democratici. Certamente è un contenitore enorme, il più grande di cui disponiamo, e dunque comprende al suo interno qualsiasi fatto, opinione e invenzione; ma vogliamo veramente indicare qualcosa come democratico solo perché abbraccia le posizioni più disparate? Questa è una condizione necessaria, certo, ma non sufficiente. A ben vedere, infatti, l’uso più grande che ne facciamo è di conferma, non di dubbio: internet diventa la materia con la quale costruiamo la nostra dittatura di pensiero individuale; un utilizzo non critico della rete estremizza le nostre idee, le conferma ripetutamente, facendole diventare granitiche e non opinabili (è sufficiente riflettere sul fenomeno degli algoritmi dei social network, che selezionano i contenuti in base alle nostre preferenze). E questo è ciò che di più anti-democratico esista. All’interno di questo contenitore (proprio perché raccoglie tutto) troveremo sempre qualcosa che avvalori ciò in cui vogliamo credere; e più è difficile trovare qualcosa che convalidi il nostro pensiero, più vedono la luce dinamiche di nascondimento di quella che vogliamo a tutti i costi considerare come verità: la base dei complottismi.

Non solo, dunque, internet non è necessariamente democratico ma può perfino essere il motore di sentieri di pensiero che annullino il ragionamento critico; di bias cognitivi che, reiterati nel tempo, possono diventare la meccanica standardizzata dei nostri ragionamenti.

La conseguenza più radicale è la creazione di vere e proprie bolle virtuali, all’interno delle quali gli individui si confermano vicendevolmente quelle che a-priori considerano come verità, utilizzando una parte del materiale che la rete mette a loro disposizione senza però dare importanza a tutto il resto del materiale presente. La radicalità di questa conseguenza è talmente forte che “esce” dal mondo virtuale e impatta profondamente in quello “reale”: l’attacco a Capitol Hill del gennaio scorso è solo l’esempio più vicino. Ecco perché risulta necessaria un’educazione digitale. E non si stratta di imparare a memoria le componenti dell’hardware dei computer o i linguaggi per produrre software, o almeno non si tratta solo di questo. È diventato fondamentale avere i mezzi necessari per saper navigare, discriminare tra le notizie, difendersi dai criminali e non lasciarsi attrarre troppo facilmente da ci  che può dare una conferma a-critica ai nostri pensieri. E questo è il primo livello della questione, il suo sostrato.

Un secondo tema di vitale importanza riguarda le identità virtuali. Troppo spesso risulta impossibile risalire alla fonte che ha creato una notizia falsa, o ha immesso in rete accuse, offese, insinuazioni; o ancora ha diffuso materiale privato o ha attaccato una particolare persona o gruppo di persone. Limitandoci per ora all’aspetto delle notizie, questo avviene perché esistono vere e proprie industrie virtuali di notizie false che, tramite il meccanismo del rilancio, riescono a celarsi dietro ad un numero impressionante di profili falsi che ricondividono la notizia, creando una catena infinita della quale è sempre più difficile risalire alla sorgente. Questo meccanismo potrebbe essere sbaragliato se i colossi dei social network accettassero di legare i profili dei propri utenti a una identità singola e verificabile. In questo modo, per essere iscritti in questi contenitori di persone sarebbe necessario dimostrare di essere sé stessi (un semplice esempio è l’autenticazione tramite il sistema SPID italiano). Ovviamente non esiste una soluzione perfetta: questo meccanismo andrebbe adeguatamente studiato per le varie implicazioni che sottende – in primis il discorso della privacy – ma le sfide e i problemi che dobbiamo affrontare non possono permetterci di farci desistere solo perché potrebbero insorgere delle difficoltà. Oltretutto se, uscendo dal solo mondo delle notizie, pensiamo a come un sistema di identità verificate possa contribuire in maniera profonda alla soluzione di alcuni problemi di cyberbullismo e crimini virtuali, credo che risulti necessario anche domandarci quanto siamo disposti a sacrificare per la sicurezza di ognuno di noi e, tutto sommato, per la giustizia. Non vedo infatti perché, come nella realtà io sono tenuto a rispondere delle mie azioni, non debba esserlo anche nel mondo virtuale, soprattutto pensando alla quantità di tempo sempre maggiore che gli individui trascorrono nel secondo.

Alla luce di quanto detto vorrei recuperare un tema in precedenza solamente accennato: la responsabilità. In primo luogo, responsabilità delle proprie azioni (come abbiamo appena detto) ma anche responsabilità di comunità, sociale. Responsabilità, infatti, deriva dal latino respònsus, il participio passato di respòndere, ed ha quindi certamente il significato di rispondere delle proprie azioni o delle loro conseguenze. Ma da millenni l’uomo ha riflettuto anche su un’etica della responsabilità – grande punto riferimento antico in questo senso è Aristotele – che si lega strettamente con la libertà. A sua volta la libertà può avere molti significati: libertà -di- (detto semplicemente: sono libero di fare ci  che voglio); libertà -da- (sono libero se non ho costrizioni, sia interne che esterne); e libertà -con- (sono veramente libero se lo sono anche gli altri). Quest’ultimo punto, in particolare, fa riferimento a quella responsabilità sociale di cui parlavo poco sopra e ci impegna tutti, in quanto appartenenti a una comunità, a più livelli che si combinano tra loro: responsabilità dell’informazione, della politica, del sistema giudiziario, della società nel suo insieme e del singolo individuo sia in quanto parte di un gruppo sia in quanto soggetto identitario. Se riusciamo a figurarci le connessioni di responsabilità implicate da un tale sistema sociale complesso, risulta assolutamente necessario il rifiuto delle fake news e di un sistema digitale non regolamentato e, per certi versi, subìto. Il motivo è che queste ultime dinamiche minano – e in certi casi annullano – il sistema di libertà e responsabilità. Dato che abbiamo decretato che la libertà sia il principio fondamentale delle nostre vite e delle nostre società, dobbiamo avere anche il coraggio di riconoscere che non esistono solo la libertà -di- e -da- ma anche quella che ci impegna a una responsabilità condivisa.

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