L’EMERGENZA SCOLASTICA IN ITALIA: ECCO PERCHÈ SERVE UNA RIFORMA

di Filippo Carpenedo – Studente di Cultura umanistica e divulgazione e redattore di Lexacivis

L’Italia ha un serio problema di educazione e a testimoniarlo sono i numeri della “Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione”, elaborato dalla Commissione europea. Secondo l’Eurostat, l’Italia spende meno degli altri Paesi UE nell’istruzione e ottiene i risultati peggiori: questo è uno dei motivi che ci farà perdere in dieci anni 1 milione e 400 mila studenti. 

Recentemente, il Ministro dell’Istruzione Bianchi ha presentato davanti alle commissioni riunite Istruzione e Cultura di Camera e Senato le linee programmatiche del progetto del ministero il cui titolo è ‘La scuola come motore del Paese’. Questo intervento, spiega il Ministro, si deve muovere su due linee: quella verticale delle persone e quella orizzontale dell’organizzazione degli studi. È ormai necessario adeguare il nostro modello scolastico ai livelli europei e affrontare il principale binomio problematico del nostro sistema: le disuguaglianze (comprese quelle tra scuole del nord e scuole del sud) e la dispersione scolastica. Il Ministro ha indicato due strade per perseguire gli obiettivi citati poco fa: aumentare le competenze dei futuri lavoratori e aumentare il numero di coloro che sono in grado di partecipare attivamente e consapevolmente alla vita del Paese. “Noi abbiamo bisogno di entrambe le cose”, ha detto Bianchi.

La dispersione scolastica in Italia è tra i temi più caldi su cui sono puntati i fari dell’UE: l’obiettivo comunitario del piano “Europe 2020” era di portarla al di sotto del 10% in tutta l’Unione e la maggior parte degli Stati membri lo ha già raggiunto (tra i migliori la Croazia al 3% e la Lituania al 4%), ma in generale le percentuali stanno, in quasi tutti i casi, decrescendo. Questo non accade in Italia dove non solo si attesta al 14,5% e quindi ben al di sopra dell’obiettivo Europe 2020, ma è anche cresciuta negli ultimi due anni di quasi un punto percentuale. Questa è una logica conseguenza della percentuale altissima di Neet, ovvero quella fascia di popolazione tra i 15 e i 29 anni che non ha e né cerca un impiego e non frequenta una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale, che si attesta al 23,3% (il dato peggiore in Europa) e che supera di più di 10 punti percentuale la media comunitaria al 13,1%.

Bianchi ha sottolineato questo aspetto nel suo discorso: “Abbiamo un indice insostenibile di dispersione scolastica. C’è una dispersione esplicita, di chi non riesce a raggiungere titolo di studio, e chi lo consegue, ma non ha le competenze adeguate”. Ancora una volta è l’Eurostat a confermare e ad evidenziare il grosso problema delle competenze dei lavoratori prodotti dalla scuola italiana: l’Italia risulta al terzo posto in Europa per quantità di lavoratori con competenze inferiori rispetto alla mansione ricoperta . Il 6% dei lavoratori italiani possiede competenze basse e il 21% è addirittura sotto qualificato. Nonostante questi dati allarmanti, si può osservare un fenomeno interessante che evidenzia e riflette la bassa domanda di competenze in Italia: numerosi lavoratori hanno competenze superiori rispetto a quelle richieste dalla loro mansione (11,7%) e sovra-qualificati (18%). Inoltre, circa il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi.

“Il lavoro che dobbiamo fare tutti insieme per ripensare la scuola e andare verso una scuola nuova, è il lavoro vero che dobbiamo fare nei prossimi mesi. È un lavoro titanico. In Italia la parola riforma della scuola non si può più dire, […] ma sono passati quasi cent’anni dalla riforma Gentile quindi tutti noi abbiamo il dovere di pensare non solo all’emergenza, ma al di là dell’emergenza” continua Bianchi toccando punti che già aveva analizzato a ottobre 2020 nel saggio “Nello specchio della scuola” dove proponeva la sua idea di riforma. Tra gli elementi più interessanti di questo saggio troviamo quello di dare la possibilità ai ragazzi di ottenere la prima qualifica a 16 anni e di poter accedere subito ad un tirocinio in azienda, ridurre a quattro anni il periodo di istruzione superiore per allineare gli studenti italiani agli standard europei e il potenziamento di altre materie come quelle informatiche, artistiche e sportive. 

Infine, Bianchi fa un’ultima riflessione dedicata ai tempi di pensionamento del corpo docente: “Bisogna programmare le uscite degli insegnanti: con l’INPS siamo riusciti ad avere per tempo le previsioni di uscita di quest’anno e dei prossimi 10 anni e ci vuole anno per anno la possibilità di reclutamento che tenga conto delle uscite per garantire continuità e stabilità nei processi di reclutamento. Inoltre la professione del docente va riconosciuta anche in termini salariali, servono carriere più articolate per i docenti e tutto il personale delle scuole”. 

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