di Paolo Cecchi – Avvocato presso lo Studio legale Roppo Canepa Avvocati
1.Ragioni sanitarie ed economiche per una vaccinazione a livello globale. – 2. Strumenti attivati a livello internazionale per agevolare l’accesso ai vaccini. – 3. Efficacia parziale di tali strumenti: il nazionalismo vaccinale. – 4. La proposta di liberalizzazione dei diritti di proprietà intellettuale di India e Sudafrica.- 5. Il nodo del trasferimento di tecnologia.- 6. L’evoluzione del dibattito all’interno del WTO.- 7. Le reazioni alla proposta di waiver.- 8. Gli argomenti a favore del waiver. – 9. La concessione del waiver produrrebbe gli effetti pratici che si ripromette? – 10. Gli effetti (positivi) della discussione sulla proposta di waiver
1. Ragioni sanitarie ed economiche per una vaccinazione a livello globale
Fin dall’inizio della pandemia è stato chiaro che, non conoscendo il virus confini, se e quando fossero state disponibili cure e soprattutto vaccini efficaci, l’obiettivo sarebbe stato quello di individuare una soluzione globale, consentendo ai paesi a basso o medio reddito di accedervi in tempi ragionevolmente rapidi.
A supporto di tale urgenza, al di là di motivi ideali e solidaristici, vi sono ragioni sia di ordine sanitario che economico.
Con riguardo al primo profilo la mancata vaccinazione a livello globale può consentire la diffusione di varianti del virus cui i vaccini attuali potrebbero non rispondere adeguatamente.
Sotto il secondo aspetto, una soluzione asimmetrica della pandemia, con la vaccinazione di massa attuata solamente nei paesi ad alto reddito, determinerebbe comunque perdite economiche rilevanti.
Uno studio commissionato dalla International Chamber of Commerce (ICC) giunge alla conclusione che le economie avanzate non possono eliminare completamente i costi economici della pandemia con la sola vaccinazione di massa della propria popolazione. Le interdipendenze delle economie in un mondo globalizzato implicano un considerevole freno alla ripresa economica sui “paesi vaccinati” in conseguenza dei loro legami commerciali con i “paesi non vaccinati”, principalmente i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo: i costi stimati a causa dei collegamenti internazionali sarebbero compresi tra 0,2 e 2,6 migliaia di miliardi di dollari, a seconda della forza dei legami commerciali e di produzione.
Complessivamente, le economie avanzate potrebbero sostenere fino al 49% dei costi globali nel 2021, nonostante il raggiungimento della copertura vaccinale al loro interno entro la fine dell’estate 2021.
In questo senso un’equa distribuzione del vaccino a livello globale, non avrebbe una valenza solo dal punto di vista morale, o sanitario, ma anche economico[1].
2. Strumenti attivati a livello internazionale per agevolare l’accesso ai vaccini
Nella direzione dell’equo accesso al vaccino a livello globale, nell’aprile 2020 viene attivata l’iniziativa COVID-19 Tools (ACT) Accelerator, su impulso dell’Organizzazione mondiale della sanità, della Francia, della Commissione Europea e della Fondazione Bill e Melinda Gates.
Si tratta di uno strumento di collaborazione globale per accelerare lo sviluppo, la produzione e l’accesso equo a test diagnostici, cure e vaccini COVID-19, riunendo gli sforzi di governi, centri di ricerca scientifica, aziende farmaceutiche, società civile, organizzazioni filantropiche e organizzazioni sanitarie globali (Bill & Melinda Gates Foundation, CEPI, FIND, Gavi, The Global Fund, Unitaid, Wellcome, l’OMS e la Banca Mondiale).
COVAX, in particolare, costituisce il pilastro di ACT Accelerator, dedicato ai vaccini.
Va riconosciuto il successo (almeno) iniziale dell’iniziativa, considerando che le prime consegne di vaccini procurati da COVAX alle economie a basso e medio reddito sono state effettuate solo 12 settimane dopo le prime somministrazioni nei paesi ad alto reddito.
L’obiettivo dichiarato da COVAX è quello di fornire almeno 2 miliardi di dosi nel 2021.
Tra il mese di marzo e l’inizio di agosto 2021 il numero di dosi per cui COVAX ha concluso contratti di fornitura passa da 1.621.000.000 a 2.534.000.000 (di cui 170 milioni Oxford-AstraZeneca, 550 milioni AstraZeneca prodotto dalla indiana Serum Institute, 350 milioni Novavax, 550 milioni Novavax prodotti da Serum Institute, 500 milioni Moderna, 200 milioni Johnson & Johnson, 40 milioni Pfizer, e altre da altri produttori) a cui si aggiungono, in particolare nelle ultime settimane, 737.111.100 dosi donate[2] ed opzioni per ulteriori 2.010.000.000 di dosi con investimenti stimati nell’ordine dei 3 miliardi di dollari.
Nonostante l’incremento significativo delle dosi messe a disposizione di COVAX, resta evidente la sperequazione tra dosi acquistate dai paesi ad alto reddito e il resto del mondo. Sperequazione più grave, se si considerano le dosi effettivamente consegnate, visto che le case farmaceutiche privilegiano la puntualità delle consegne a favore dei paesi ad alto reddito che, mediamente, pagano di più le dosi di vaccino fornite.
La tabella di seguito riprodotta[3], aggiornata al 6 agosto 2021, e curata dal Global Health Innovation Center della Duke University, fornisce una rappresentazione immediatamente percepibile del peso degli ordini effettuati dai paesi in base alla classificazione per reddito.

È stato poi istituito il COVAX Facility, un meccanismo globale per procurare e distribuire dosi in tempi rapidi: 99 economie a reddito più alto hanno aderito allo strumento COVAX come membri autofinanziati, unendosi a 92 economie a basso e medio reddito la cui partecipazione è supportata da strumenti finanziari organizzati da ACT Accelerator.
I partner COVAX hanno dovuto superare anche una serie di ostacoli rilevanti nell’acquisizione dei vaccini. Sul piano regolamentare, in particolare, uno dei passaggi critici è stato quello dei possibili risarcimenti a favore dei soggetti colpiti da eventi avversi nella somministrazione dei vaccini: se nei paesi più ricchi esistono norme che sollevano da responsabilità i produttori[4], in altri sono state negoziate con le aziende produttrici clausole di indemnification ed esistono comunque strumenti statali di indennizzo per i danneggiati da eventi avversi[5], nei contratti COVAX la questione è stata affrontata coinvolgendo gli attori rilevanti al tavolo delle trattative (produttori e governi) per negoziare e concordare regole standard di indennizzo al fine di facilitare l’accesso ai vaccini e stabilire programmi di no-fault compensation[6] per i potenziali eventi avversi derivanti dall’uso del vaccino.
Oltre 100 paesi sono stati supportati nello sviluppo e nella presentazione dei loro piani nazionali di distribuzione e vaccinazione basati su questa guida.
Tutte queste attività sono state sostenute dalle donazioni di stati, organizzazioni sovranazionali e enti privati, contributi che fino ad oggi ammontano a circa 17,8 miliardi di dollari (in crescita rispetto agli 11,0 miliardi di dollari al mese di marzo, anche a seguito della mobilitazione internazionale seguita alla richiesta di liberalizzazioni dei brevetti sui vaccini)[7].
3. Efficacia parziale di tali strumenti: il nazionalismo vaccinale
Ma le esigenze finanziarie di ACT-Accelerator richiedono nel 2021 ulteriori 16,6 miliardi di dollari (rispetto ai 22,1 miliardi di dollari di marzo) per mantenere la possibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati. Il funding gap ammonta, per quanto qui interessa, all’inizio di agosto, a 0,7 miliardi per i vaccini, 3,2 miliardi per le terapie, 8,6 miliardi per la diagnostica, 7,2 miliardi per il miglioramento del sistema sanitario[8].
Se le disponibilità finanziarie sono oggi insufficienti, soprattutto l’impegno multilaterale rivendicato in principio dai paesi più sviluppati, non appena i primi vaccini sono stati resi disponibili, ha lasciato spazio ad iniziative e accordi bilaterali, a vincoli sulle esportazioni più o meno espliciti (Stati Uniti[9] e India), a clausole contrattuali con le quali l’esportazione di vaccini o componenti realizzati sul suolo dello stato committente sono subordinate al completamento del programma vaccinale in quello stato (Regno Unito, Stati Uniti), a clausole di priorità, a limiti anche alla donazione delle dosi in eccedenza (per lo più in relazione alla copertura di indennizzo a favore delle case farmaceutiche[10]), di modo che al momento la gran parte delle dosi destinate al programma COVAX sono quasi esclusivamente prodotte nell’Unione Europea, l’unico dei grandi player mondiali che non ha imposto vincoli significativi alle esportazioni.
Ma anche nell’Unione Europea le apprezzabili dichiarazioni di principio, non sono state sempre seguite da iniziative concrete conseguenti.
L’Unione Europea aveva espressamente previsto che uno dei criteri di scelta dei produttori di vaccini nella fase di negoziazione sarebbe stata la disponibilità a porre in essere azioni di solidarietà globale, ossia l’impegno del fornitore a mettere a disposizione dei paesi partner dosi di vaccini autorizzati in futuro per porre fine alla pandemia; ed ancora esplicitamente la Commissione si poneva come obiettivo la promozione di un vaccino Covid-19 come bene pubblico globale[11].
In realtà solo l’accordo sottoscritto con Sanofi-GSK prevede un vago accenno all’impegno del fornitore a sostenere l’iniziativa ACT Accelerator[12].
Inoltre anche i contratti europei che in linea di principio contemplano la possibilità di donazione dei vaccini in eccedenza, pongono limiti significativi[13], per lo più legati alla pretesa delle case farmaceutiche di ottenere una copertura di responsabilità dallo stato di somministrazione.
La scarsità di vaccini, loro componenti, di una adeguata capacità produttiva, fa sì che a fronte degli accordi stipulati da COVAX, solo una minima parte delle dosi preacquistate siano effettivamente consegnate[14].
Al di fuori delle donazioni dirette a COVAX sono state donate circa 194 milioni di dosi (in crescita dai 40 dei mesi scorsi) da vari paesi con accordi bilaterali (solo in parte veicolate attraverso COVAX a paesi predeterminati dai donanti), di cui 160 milioni effettivamente consegnate. Il paese donante più attivo, soprattutto in una prima fase, con oltre 28 milioni di dosi, è stata la Cina, al cui sforzo non è estraneo un progetto di influenza geopolitica sui paesi in via di sviluppo[15]. Successivamente gli Stati Uniti hanno donato con accordi bilaterali 32 milioni di dosi, il Giappone oltre 11 milioni, l’India quasi 10 milioni. Il 3 agosto 2021 il Presidente Biden, ha dichiarato che a quella data gli Stati Uniti hanno donato e consegnato 110 milioni di dosi a 65 paesi[16]. La Germania alla fine di luglio ha assunto l’impegno di donare 30 milioni di dosi AstraZeneca e Johnson & Johnson entro la fine del 2021, assegnando i 4/5 dello stock di vaccini a COVAX[17].
Da ultimo anche l’Italia avrebbe deciso di donare 1,5 milioni di dosi alla Tunisia[18] e altre 240.000 alla Libia[19].
La pressione dell’opinione pubblica ha indotto i singoli paesi delle economie più sviluppate ad acquistare quante più dosi di vaccino possibile (e da un pool di candidati più ampio) con l’obiettivo di coprire quanto più rapidamente la propria popolazione. Si stima che, ad oggi, gli acquisti confermati ammontino a livello globale a 11,9 miliardi di dosi (di cui oltre 6,5 miliardi di dosi acquistate dai paesi ad alto reddito, e di queste 2,925 miliardi di dosi preacquistate dall’Unione Europea; 1,610 miliardi di dosi dagli Stati Uniti, 517 milioni dal Regno Unito), con altri 6 miliardi di dosi (di cui oltre 2,5 miliardi per Unione Europea, Stati Uniti e Regno Unito) attualmente in fase di negoziazione o riservate come opzioni di accordi esistenti[20].
Si può indubbiamente parlare di nazionalismo vaccinale, con tutti gli interrogativi conseguenti a tali pratiche: ad esempio è etico bloccare l’esportazione di vaccini già prodotti e consegnati in paesi che quel vaccino non hanno autorizzato (come in una prima fase hanno fatto gli Stati Uniti con AstraZeneca)? È etico, nell’ambito di una catena di produzione globale, limitare l’esportazione di componenti o di vaccini finiti fino a che non sia completata la campagna vaccinale in un paese (vincoli contrattuali in contratti del Regno Unito)? È etico procedere nella vaccinazione di fasce di età bassa o avviare la somministrazione della terza dose quando in paesi anche prossimi pure gli anziani sono stati vaccinati in misura solo marginale?
L’effetto dell’accaparramento di dosi di vaccino e di loro prenotazione a valere per i prossimi anni da parte dei paesi più ricchi in una situazione di limitatezza della capacità produttiva a livello globale rischia di rendere del tutto irrealizzabili le apprezzabili dichiarazioni di principio.
Un’altra meritoria iniziativa pare non avere avuto il successo originariamente atteso: nel maggio 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e i suoi partner hanno lanciato il COVID-19 Technology Access Pool (C-TAP) per facilitare l’accesso tempestivo, equo e conveniente ai prodotti sanitari COVID-19 aumentandone l’offerta. C-TAP fornisce uno sportello unico globale per gli sviluppatori di prodotti terapeutici, diagnostici, vaccini e altri prodotti sanitari COVID-19 con l’obiettivo di condividere la loro proprietà intellettuale, conoscenza e dati, con produttori di qualità garantita attraverso licenze non esclusive trasparenti ispirate da finalità di salute pubbliche. Condividendo la proprietà intellettuale e il know-how attraverso il pooling e accordi volontari, gli sviluppatori di prodotti sanitari COVID-19 possono facilitare l’aumento della produzione attraverso più aziende fabbricanti che attualmente hanno capacità produttive inutilizzate[21].
A quanto noto lo strumento messo a disposizione non ha portato ad alcun risultato effettivo.
4. La proposta di liberalizzazione dei diritti di proprietà intellettuale di India e Sudafrica
È in questo quadro di non efficiente allocazione dei vaccini nei paesi meno ricchi che si colloca l’iniziativa congiunta di India e Sudafrica (cui successivamente si sono uniti, attualmente, altri 60 paesi, oltre ai 55 paesi rappresentati dall’African Union) dinanzi al Council for Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights del WTO: con la proposta del 2 ottobre 2020 i due stati proponenti rilevano come la tutela dei diritti di proprietà intellettuale (non solo brevetti) costituisca un impedimento alla possibilità di disporre in tempi rapidi a livello globale dei vaccini, ma anche di farmaci e strumenti diagnostici.
A tal fine propongono che venga adottata una decisione dal Council con la quale, per un periodo di anni da definire, ma poi precisata in tre anni (ovvero fino ad esaurimento della pandemia), vengono rinunciati gli obblighi degli stati aderenti di dare attuazione o applicare le sezioni 1, 4, 5 e 7 della parte seconda del trattato TRIPS (in tema rispettivamente di diritto d’autore, disegni industriali, brevetti e informazioni segrete) e venga ulteriormente sospesa la tutela dei diritti di proprietà intellettuale in relazione alla prevenzione, contenimento o trattamento del COVID-19[22].
Il dibattito che si apre tra i paesi sostenitori della proposta di India e Sudafrica e quelli che vi si oppongono (in principio Stati Uniti, con, tra gli altri, Unione Europea, Giappone, Australia, Canada) verte principalmente sulla inefficacia dello strumento proposto a raggiungere gli obiettivi prefissati di un rapido incremento della produzione di vaccini accessibili su scala globale e sull’esistenza di forme di flessibilità già presenti nell’accordo TRIPS dopo la dichiarazione di Doha del 2001 che, ad avviso di detti paesi, sono idonei a conseguire l‘obiettivo.
Le forme di flessibilità cui si fa riferimento sono quelle relative alle licenze obbligatorie.
Il sistema normativo trasfuso nel testo attuale degli artt. 30, 31 e 31-bis del TRIPS, prevede una serie di requisiti affinché possa essere ottenuta la licenza obbligatoria di un brevetto[23].
In primo luogo è necessario che la legislazione di uno stato membro consenta, nel suo ordinamento interno, altri usi dell’oggetto di un brevetto senza il consenso del titolare.
Ciò non dovrebbe costituire un ostacolo dato che la maggioranza degli stati prevedono e regolamentano le licenze obbligatorie[24].
Per altri usi si intendono usi che comunque non si pongano indebitamente in contrasto con un normale sfruttamento del brevetto e non pregiudichino in modo ingiustificato i legittimi interessi del titolare, tenuto conto degli interessi dei terzi.
L’utilizzazione del brevetto senza il consenso del titolare può avvenire direttamente da parte della pubblica amministrazione o da parte di terzi da questa autorizzati.
Ulteriormente è previsto che prima di autorizzare una licenza obbligatoria, l’aspirante utilizzatore deve avere cercato di ottenere l’autorizzazione del titolare secondo eque condizioni e modalità commerciali senza esito positivo ed entro un ragionevole periodo di tempo. Tuttavia questo passaggio può essere derogato in caso di un’emergenza nazionale o di altre circostanze di estrema urgenza, pacificamente presenti nell’attuale pandemia, oppure in caso di uso pubblico non commerciale.
L’ambito e la durata dell’uso in questione sono limitati allo scopo per il quale esso è stato autorizzato.
L’uso autorizzato non è esclusivo; e non è alienabile, salvo il caso in cui non venga ceduto il ramo di azienda che degli specifici diritti di proprietà intellettuale ha acquisito il godimento per il tramite della concessione della licenza obbligatoria.
In ogni caso il titolare del brevetto riceve un equo compenso, tenuto conto del valore economico della licenza.
L’uso in questione è autorizzato di regola per l’approvvigionamento del solo mercato interno dello stato membro che lo autorizza: questa limitazione sarebbe potenzialmente rilevante perché precluderebbe agli stati che non disponessero di capacità produttiva autonoma di accedere allo strumento.
Ma anche in questo caso è prevista una deroga per cui tale limitazione non si applica relativamente alla concessione di una licenza obbligatoria nella misura necessaria ai fini della fabbricazione di prodotti farmaceutici destinati all’esportazione verso un membro importatore ammissibile, laddove per membro importatore ammissibile si intendono i paesi membri meno avanzati che abbiano capacità di fabbricazione nel settore farmaceutico insufficienti o inesistenti.
Sono considerati membri importatori ammissibili, anche i paesi più avanzati, le cui capacità di fabbricazione insufficienti o inesistenti per i prodotti in questione possono essere riconosciute o a fronte di una dichiarazione dello stato membro oppure qualora pur avendo una certa capacità di fabbricazione, si dichiari che, fatta eccezione per l’eventuale capacità produttiva nella disponibilità del titolare del brevetto o dallo stesso controllata, essa è attualmente insufficiente a soddisfare le sue esigenze.
Il quadro delle flessibilità dell’accordo TRIPS va completato con le previsioni contenute all’art. 66 a favore dei paesi catalogati come Least Developed Countries: si tratta dei 46 paesi così designati dalle Nazioni Unite, 35 dei quali sono membri del WTO[25]. I paesi LDC godono di una espressa esenzione dall’obbligo di tutela di alcuni diritti di proprietà intellettuale, la cui efficacia è stata estesa poche settimane fa al 1° luglio 2034[26]; in particolare, in base a successive estensioni degli accordi di Doha, questi paesi sono esonerati[27] fino al 1° gennaio 2033 dal garantire protezione dei diritti di proprietà intellettuale con specifico riguardo ai prodotti farmaceutici. Ad esempio il Bangladesh avvalendosi del regime di favore derivante dalle esenzioni previste per i paesi LDC ha avviato, senza bisogno di licenza obbligatoria o volontaria, la produzione del farmaco Remdesivir[28].
5. Il nodo del trasferimento di tecnologia
Nell’allegato alla modifica del trattato in tema di compulsory licenses, gli stati aderenti davano evidenza di ben comprendere che uno dei punti chiave di un apparato che consenta la produzione di farmaci in paesi meno avanzati è il trasferimento di tecnologia: “I membri riconoscono l’opportunità di promuovere il trasferimento di tecnologia e di capacità nel settore farmaceutico per risolvere il problema che devono affrontare i membri le cui capacità di produzione nel settore farmaceutico sono insufficienti o inesistenti. A tal fine, i membri importatori ammissibili e i membri esportatori sono incoraggiati ad utilizzare il sistema secondo modalità che promuovano quest’obiettivo. I membri si impegnano a collaborare prestando particolare attenzione al trasferimento di tecnologia e di capacità nel settore farmaceutico”.
Il trasferimento di tecnologia ricopre un ruolo essenziale nella possibilità di ottenere in tempi rapidi un incremento della produzione dei vaccini: più in particolare l’assenza di un processo efficace che abbia ad oggetto il trasferimento delle conoscenze necessarie per produrre un vaccino renderebbe del tutto inutile il libero accesso al brevetto. È la ragione per cui la dichiarazione resa da Moderna[29] l’8 ottobre dello scorso anno di rinunciare alla tutela del brevetto durante il periodo della pandemia (ma senza alcun accenno al trasferimento del know-how) non ha avuto alcun effetto concreto[30].
Per una prima definizione in concreto è ad esempio utile a tal fine esaminare il contratto di licenza[31] tra Moderna e Lonza (l’azienda svizzera con vasta esperienza nel campo della produzione di medicinali tecnologicamente avanzati).
La definizione contrattuale di Technology Transfer è la seguente:
“the transfer of Know-How, documentation, specifications, SOPs (Standard Operating Procedures), analytical methods and process validation documents related to MODERNA’s Process or Product by MODERNA to LONZA for the development of the Project Documentation for the Manufacture of the Product specifically for MODERNA or its Affiliates”.
Il processo di trasferimento della tecnologia concordato tra le parti è particolarmente complesso, dettagliato in un apposito articolo dell’accordo e presuppone uno scambio continuo di informazioni tra titolare del brevetto e licenziataria, una collaborazione che può prevedere anche la presenza fisica di personale di entrambe le aziende presso la sede dell’altra[32].
Le complessità del processo di trasferimento di tecnologia sono ad esempio evidenziate nel rapporto tra AstraZeneca e il produttore brasiliano Fiocruz[33].
Va quindi preliminarmente evidenziato che tanto lo strumento delle licenze obbligatorie, quanto quello del waiver, si scontrano inevitabilmente con le complessità proprie di un processo produttivo articolato, in particolare per i vaccini con tecnologia mRNA[34], che presuppone un’intensa ed attiva collaborazione tra titolare del brevetto e soggetto che utilizza l’invenzione, oltre che un pieno controllo della catena di approvvigionamento delle materie prime necessarie per la produzione del vaccino.
6. L’evoluzione del dibattito all’interno del WTO
Dato questo quadro normativo i paesi proponenti il waiver contestano gli ostacoli propri del sistema di flessibilità -le licenze obbligatorie- previsto dal TRIPS.
In particolare ne lamentano l’approccio “caso per caso” o “prodotto per prodotto”, le limitazioni rispetto alle leggi nazionali in tema di licenze obbligatorie che alcuni paesi possono non avere nel loro apparato normativo, le pressioni da parte dei partner commerciali sui paesi più deboli, la possibile mancanza di capacità pratica e istituzionale necessaria per esercitare le flessibilità TRIPS durante la pandemia in modo rapido ed efficace.
Gli stati proponenti evidenziano poi che i meccanismi esistenti per le licenze obbligatorie ai sensi dell’articolo 31 e dell’articolo 31bis dell’Accordo TRIPS contengono restrizioni territoriali e procedurali che rendono la pratica del rilascio di licenze obbligatorie prodotto per prodotto un processo complesso, rendendo difficile la collaborazione dei paesi.
Ulteriormente l’articolo 31bis richiede che ogni prodotto fabbricato ed esportato con licenza obbligatoria sia identificato con imballaggi e quantità specifiche, il che può comportare ritardi inutili.
E del resto, fanno notare i paesi proponenti il waiver, solo in un caso è stata notificata la concessione di una licenza obbligatoria di farmaci destinati all’esportazione (dal Canada allo Zambia) utilizzando le flessibilità del TRIPS[35].
Peraltro sulle esitazioni nell’attivare meccanismi di licenza obbligatoria –forse dovute a ragioni di convenienza nel mantenimento di buone relazioni con le grandi case farmaceutiche-, pur in presenza di una normativa nazionale e di competenze specifiche nella produzione di vaccini, si è espressa, durante la recente crisi sanitaria, la Corte Suprema Indiana che, pur riconoscendo che è competenza del governo adottare le scelte ritenute più opportune, ha sottolineato come la legge locale offra strumenti adeguati, non utilizzati, per conseguire senza il consenso del titolare l’utilizzo dei brevetti[36].
Quasi a mettere alla prova il sistema delle licenze obbligatorie l’azienda farmaceutica canadese Biolyse Pharma ha richiesto una licenza obbligatoria del vaccino Johnson & Johnson approfittando della normativa particolarmente evoluta del suo paese e ciò al fine di avviare la produzione del vaccino da esportare in Bolivia. Il contratto concluso tra Biolyse e la Bolivia prevede la fornitura fino a 15 milioni di dosi ad un prezzo tra i 3 e i 4 dollari[37].
La posizione dell’Unione Europea, tendenzialmente contraria al waiver e sostenitrice dell’utilità della tutela della proprietà intellettuale come strumento di sviluppo e innovazione, in sede di TRIPS Council si è da ultimo (con il documento presentato il 4 giugno 2021[38]) concentrata su tre pilastri: 1) facilitazione degli scambi e disciplina delle restrizioni all’esportazione; 2) espansione della produzione, anche attraverso impegni da parte di produttori e sviluppatori di vaccini e; 3) superamento degli aspetti che frenano la concreta attuazione degli strumenti di flessibilità dell’Accordo TRIPS relativamente alle licenze obbligatorie.
In particolare su quest’ultimo tema sono state individuate tre aree di debolezza del sistema, peraltro denunciate dagli stessi paesi che hanno proposto il waiver, rispetto alle quali l’Unione Europea ha prospettato le relative possibili soluzioni: a) la pandemia in quanto tale può essere automaticamente considerata una circostanza di “emergenza nazionale” e quindi l’obbligo di negoziare preventivamente con il titolare del brevetto può essere superato, tanto nel caso di conseguimento diretto della licenza obbligatoria quanto nel caso di licenza obbligatoria finalizzata all’esportazione; b) l’adeguata remunerazione per la licenza obbligatoria può trovare una sua definizione preventiva in ambito WTO, senza necessità di un processo lungo e complesso; e c) per facilitare il conseguimento della licenza obbligatoria –che richiede oggi specifiche notifiche al WTO per l’esportazione ad ogni singolo paese- viene proposta un’unica notifica per le esportazioni destinate a diversi paesi che siano sprovvisti capacità produttiva, anche tramite lo strumento COVAX.
La proposta ha il merito di suggerire possibili soluzioni concrete di fronte ad ostacoli reali all’utilizzo efficace delle licenze obbligatorie, ma omette di affrontare il problema dei diritti di proprietà intellettuale diversi dai brevetti, necessari per rendere efficace lo strumento, ed in particolare del trasferimento di tecnologia[39].
Se il sistema delle licenze obbligatorie è giudicato farraginoso ed inefficiente (tanto che anche i membri del WTO contrari al waiver riconoscono l’esigenza di introdurre modifiche), d’altro canto, anche il sistema delle licenze volontarie ha dimostrato, ad avviso dei proponenti, di non funzionare in maniera efficace: rarissimi sono stati gli accordi conclusi dalle grandi case farmaceutiche –tanto più che, viene evidenziato, le aziende licenzianti possono limitare la produzione, la quantità e l’esportazione a determinate aree geografiche di prodotti fabbricati su licenza, escludendo così gran parte della popolazione mondiale -; sono invece inesistenti i casi di condivisione della proprietà intellettuale tramite il C-TAP.
Sempre nella prospettiva dei proponenti è infondato l’argomento per cui la mancata tutela della proprietà intellettuale bloccherebbe gli investimenti da parte delle aziende farmaceutiche, visto che gran parte delle risorse per lo sviluppo dei vaccini contro il Covid-19 proviene da finanziamenti pubblici, mentre gli ingenti profitti derivanti dalla vendita sono trattenuti da soggetti privati.
E ancora l’approccio solidaristico di iniziative come COVAX per quanto apprezzabile è limitato dagli ordini massicci dei paesi più ricchi che hanno di fatto monopolizzato gli ordinativi di vaccini di modo che più della metà delle dosi dei vaccini è stato prenotato da paesi che rappresentano il 13% della popolazione mondiale.
7. Le reazioni alla proposta di waiver
La proposta di waiver ha avuto un largo e autorevole sostegno[40] tra leader politici mondiali, premi Nobel, economisti e sulla scia di questa campagna di sensibilizzazione pubblica l’amministrazione Biden (il 5 maggio scorso) ha dichiarato di condividerla[41].
Gli argomenti comuni utilizzati dai sostenitori del waiver partono dal presupposto, che si dà, forse in maniera affrettata, per acquisito, che la tutela rigorosa dei diritti di proprietà intellettuale costituisca l’ostacolo principale ad una produzione massiccia del vaccino e che la posizione monopolistica garantita alle aziende farmaceutiche dalla titolarità dei brevetti sia la ragione della scarsità di vaccini e delle limitazioni all’accesso globale. Al waiver, si sottolinea, dovrà essere abbinata l’utilizzazione di strumenti destinati alla condivisione del know-how, ad esempio attraverso il COVID-19 Technology Access Pool messo a disposizione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il premio Nobel per l’economia Stiglitz contesta gli argomenti utilizzati delle aziende farmaceutiche per contrastare la proposta di India e Sudafrica: non si può affermare che i paesi in via di sviluppo manchino di competenze nella produzione dei vaccini se è vero che le aziende occidentali hanno concesso licenze di produzione al Serum Insititute indiano o alla sudafricana Aspen Pharmacare. Ma come si vedrà nel seguito in realtà solo poche aziende in India e Sudafrica, oltre che in Brasile, dispongono oggi delle competenze necessarie per avviare la produzione del vaccino e, non a caso, sono già licenziatarie dei brevetti per la produzione di varie tipologie di vaccino. Sotto altro profilo le flessibilità previste dal TRIPS, invocate come soluzione al problema della produzione, sono inefficaci in relazione al groviglio di diritti di proprietà intellettuale, diversi dai brevetti, che impediscono di fatto la produzione in base alle licenze obbligatorie eventualmente conseguite. Infine, ad avviso di Stiglitz, è del tutto pretestuoso l’argomento per cui la sospensione della tutela dei diritti di proprietà intellettuale scoraggerà in futuro le aziende farmaceutiche dall’investire in ricerca: il waiver non eliminerà il diritto delle aziende farmaceutiche di ottenere una qualche forma di remunerazione per l’utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale di cui sono titolari (anzi incentiverà la stipulazione di licenze volontarie), ma sottrarrà loro i profitti in eccesso derivanti dalla privilegio monopolistico. Viene da replicare che la proposta di India e Sudafrica non prevede esplicitamente alcuna forma di compensazione a fronte del libero utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale e se anche prevedesse un qualche meccanismo analogo a quello previsto per le licenze obbligatorie, guardando allo specchio l’argomento di Stiglitz, non si vede quale incentivo avrebbero i paesi che andrebbero a beneficiare del waiver a negoziare con i titolari dei diritti di proprietà intellettuale licenze volontarie. Né viene spiegato come in concreto i titolari dei diritti sul know-how dovrebbero attuare, se non su base volontaria, il complesso processo di trasferimento di tecnologia necessario alla produzione dei vaccini.
Mazzucato, Ghosh e Torrelee, sottolineata l’inefficienza delle forme di flessibilità previste dal TRIPS, assumono che il waiver spianerebbe la strada al trasferimento di tecnologia di modo che qualsiasi paese possa produrre o importare e distribuire vaccini a costi ben inferiori a quelli che le aziende farmaceutiche possono pretendere in una situazione di scarsità. Anche in questo caso non è chiaro come il trasferimento di tecnologia, che presuppone un coinvolgimento attivo del titolare delle conoscenze, sarebbe in concreto agevolato dal waiver, pur prendendosi atto che la volontaria condivisione tramite il COVID-19 Technology Access Pool non è al momento avvenuta.
Viene poi contestata la tesi per cui il waiver pregiudicherà l’innovazione futura, ma, al contrario, viene sostenuto, da un lato, che la protezione dei diritti di proprietà intellettuale non è stata pensata per i periodi di grave emergenza come la pandemia. Dall’altro è un equivoco, ad avviso delle autrici, pensare che sia il sistema della proprietà intellettuale ad aver costituito un incentivo alla ricerca di farmaci e vaccini nei periodi di pandemia: il motore dello sviluppo dei vaccini sono stati invece i massicci investimenti pubblici –sia in forma diretta per lo sviluppo delle tecnologie, sia sotto forma di anticipi sul corrispettivo per le future forniture, assumendosi i committenti pubblici il rischio di fallimento della ricerca-. E nonostante ciò le aziende farmaceutiche hanno potuto conseguire ingenti profitti approfittando della situazione di monopolio garantita dai brevetti.
Roventini evidenzia l’importanza del trasferimento tecnologico che rende inefficace il sistema delle licenze obbligatorie le quali non coprono forme di proprietà intellettuale quali il know-how o i processi di produzione, oltre al fatto che, ad esempio, i vaccini mRNA richiedono oltre 100 componenti spesso protetti, a loro volta, da forme di privativa: in questo modo le flessibilità garantite dal TRIPS sarebbero ingestibili. Roventini entra nel dettaglio sugli strumenti utilizzabili nel caso di waiver per indurre le aziende farmaceutiche ad attuare il trasferimento di tecnologia: i governi potrebbero infatti spingere le imprese di cui hanno finanziato la ricerca a facilitare il trasferimento delle loro tecnologie e conoscenze. Ad esempio viene evidenziato come negli Stati Uniti, con il Defense Production Act (Dpa)[42] esiste uno strumento idoneo ad ordinare alle imprese di condividere il loro know-how scientifico e tecnologico e di ordinare la produzione di vaccini.
In realtà vi sono anche altri strumenti negli Stati Uniti: il Bayh-Dole Act del 1980 attribuisce alle università e alle aziende private impegnate nella ricerca avanzata i diritti di proprietà intellettuale sui risultati dell’attività finanziata con fondi federali. In altre parole viene introdotta la presunzione che il titolo sull’invenzione sviluppata con fondi pubblici, la titolarità del brevetto e la facoltà di disporne anche tramite licenza a terzi, sia attribuita all’ente che ne è inventore. Vi è una eccezione, sono i cosiddetti march-in-rights: in alcune circostanze al governo è consentito trattenere alcuni diritti e pretendere da chi ha sviluppato la ricerca finanziata da fondi pubblici, di assumere specifiche condotte, imponendo ad esempio un licenziatario (in via esclusiva o meno), o certe modalità di commercializzazione (misura del prezzo incluso), il tutto riconoscendo comunque all’inventore condizioni di remunerazione ragionevoli. Ciò può avvenire ad esempio quando la commercializzazione dell’invenzione è necessaria per far fronte ad emergenze sanitarie (clausole specifiche sono ad esempio espressamente previste nei contratti di fornitura di vaccini stipulati dalle agenzie federali con Janssen-Johnson & Johnson[43], Sanofi[44]; in altri casi, come nel contratto Moderna[45], si richiama la norma di riferimento; oppure l’applicazione della norma è espressamente esclusa, come nel contratto Pfizer che, al di là di advance payment sulla fornitura, non ha ricevuto finanziamenti dalle agenzie federali[46]).
Viene da domandarsi allora, di fronte alla necessità di incrementare la capacità produttiva, nel caso a favore dei paesi meno sviluppati, e alla disponibilità (negli Stati Uniti) di strumenti così incisivi idonei ad impegnare aziende private (per lo più, va ribadito, in una prospettiva di nazionalismo vaccinale), quale sarebbe il valore aggiunto di una sospensione della tutela dei diritti di proprietà intellettuale[47].
Sull’altro fronte la reazione delle aziende farmaceutiche è stata di ferma chiusura di fronte alla proposta avanzata dinanzi al WTO, per lo più invocando gli argomenti confutati dai sostenitori del waiver. La proposta dell’industria farmaceutica[48], diretta ad incrementare la disponibilità globale dei vaccini si basa su cinque punti: il primo spingere gli stati che hanno grande disponibilità di vaccini a condividerli con i paesi meno sviluppati; il secondo rafforzare anche con l’intervento dei governi la capacità produttiva e la tempestiva disponibilità dei componenti critici per la realizzazione dei vaccini; il secondo la rimozione di tutte le barriere imposte dagli Stati alle esportazioni dei vaccini; il terzo sostenere l’iniziativa del CEPI[49] per creare una piattaforma indipendente capace di identificare e affrontare le eventuali temporanee carenze di componenti e raw materials, facilitando il matchmaking volontario attraverso la COVAX Supply Chain and Manufacturing Task Force[50] ; il quarto incrementare la collaborazione con i governi affinché i paesi a medio e basso reddito siano pronti a distribuire e somministrare tempestivamente le dosi disponibili entro la loro durata di conservazione; il quinto sostenere la ricerca per lo sviluppo di nuovi vaccini di fronte a varianti del virus condividendo gli esiti del sequenziamento del virus.
È interessante poi la presa di posizione di Albert Bourla[51], amministratore delegato di Pfizer. Bourla riferisce che la sua azienda ha avuto fin dal principio quale obiettivo una distribuzione equa del vaccino. Perché ciò potesse avvenire sono state individuate due aree di intervento: la prima la differenziazione dei prezzi, la seconda la distribuzione del vaccino a livello globale. Sul primo profilo Pfizer, per quanto riferisce il suo amministratore delegato, ricorda che il prezzo del vaccino è per i paesi più sviluppati quello di un pasto da asporto (per essere concreti un po’ di più: il vaccino Pfizer–BioNTech è pagato tra i 18 e i 25 dollari a dose, il doppio per l’intero ciclo vaccinale). Ai paesi a medio reddito sono state offerte dosi a circa la metà di quel prezzo e ai paesi a basso reddito sono state offerte dosi al costo e nel caso dei paesi più poveri si provvederà anche tramite donazioni. Bourla afferma che “equità non significa che diamo a tutti lo stesso. Equità significa che diamo di più a coloro che hanno bisogno di più”[52]. Per quanto attiene al secondo punto, Pfizer ha creato una capacità produttiva di 2,5-3 miliardi di dosi per il 2021 e di 4 miliardi di dosi per il 2022. Si tratta di vaccini destinati a tutti, al punto che il 40% delle dosi previste nel 2021 sarebbero destinate a paesi a medio basso reddito. Bourla non può però che prendere atto che nei primi mesi del 2021 le consegne sono state destinate in larga maggioranza a paesi ad alto reddito. Ciò dipenderebbe dall’originaria indisponibilità di molti governi ad effettuare ordini di vaccini a tecnologia mRNA, in parte perché si trattava di tecnologia nuova, in parte perché tali governi avevano ricevuto offerte da altri fornitori che prevedevano la produzione locale.
Più in particolare ad avviso di Bourla il waiver non solo non incrementerà la produzione, ma rischierà di comprometterne gli attuali livelli.
Attualmente, sostiene, l’infrastruttura non costituisce il collo di bottiglia per una produzione più veloce. Le limitazioni derivano dalla scarsità di “highly specialized raw materials” necessari per la produzione del vaccino: si tratta di 280 diversi materiali o componenti prodotti da diversi fornitori in 19 paesi. La gran parte di questa filiera di fornitura ha richiesto il supporto tecnico e finanziario dell’azienda per incrementare la produzione, il che ha consentito al momento, nelle parole di Bourla, di ottenere il risultato che ogni grammo di materiale grezzo sia trasportato negli stabilimenti di produzione e convertito immediatamente in vaccini consegnati in tempi rapidi nel mondo (per il vaccino Pfizer in 91 paesi)[53]. Secondo Bourla il waiver rischia di incidere negativamente sulla fornitura di raw materials. Con il waiver vi è il rischio concreto che si apra una corsa all’approvvigionamento di raw materials, la cui offerta sul mercato è già limitata, da parte di produttori con limitata esperienza, così da pregiudicare le capacità di produzione delle aziende più organizzate, e più attrezzate a realizzare volumi consistenti di vaccini.
Viene anche affrontato il tema del disincentivo agli investimenti futuri nella ricerca per le case farmaceutiche in caso di waiver: l’amministratore delegato di Pfizer sostiene che la sua azienda (che avrebbe investito circa 2,6 miliardi dollari di risorse proprie nello sviluppo del vaccino) non ridurrà comunque la misura delle risorse in ricerca e sviluppo, ma che una misura simile rischia di avere impatti significativi sui piccoli biotech innovators che dipendono totalmente dall’accesso ai capitali di investitori privati il cui apporto riposa unicamente sul presupposto che la proprietà intellettuale sia protetta. Questo Bourla non lo dice espressamente, ma, paradossalmente, la conseguenza del suo argomento è che con il waiver sarebbe rafforzata la posizione delle grandi multinazionali farmaceutiche.
8. Gli argomenti a favore del waiver.
Molti degli argomenti utilizzati dai sostenitori del waiver sono oggettivamente fondati: è un dato di fatto che la vaccinazione della popolazione mondiale sia l’unico strumento per risolvere la pandemia, mentre approcci basati su varie forme di nazionalismo vaccinale sono a medio termine inefficienti (si veda § 1); ugualmente è fondato l’assunto per cui in una situazione di emergenza sanitaria globale i diritti di proprietà intellettuale non debbano costituire uno strumento per consentire alle case farmaceutiche di conseguire profitti[54] eccedenti quanto è ragionevole aspettarsi per remunerare l’attività di ricerca e gli investimenti effettuati, tanto più in un contesto in cui attraverso investimenti a fondo perduto e pagamenti anticipati delle forniture sono state sollevate dal rischio di fallimento nello sviluppo accelerato del vaccino e nella predisposizione di una catena produttiva adeguata: gli stati si sono fatti carico dei rischi associati alla sfida scientifica e produttiva (anche attraverso le previsioni normative e contrattuali con le quali le aziende farmaceutiche sono state esonerate dalla responsabilità per i danni da somministrazione del vaccino o gli stati si sono obbligati a tenerle indenni).
È probabilmente vero che le attuali forme di flessibilità previste dal TRIPS (licenze obbligatorie) siano, per come oggi configurate, inadeguate a consentire un rapido sviluppo globale della capacità produttiva. Così come è sufficiente l’osservazione di quanto successo negli ultimi mesi per riconoscere che le aziende farmaceutiche, approfittando della posizione di monopolio garantita dalla titolarità dei diritti di proprietà intellettuale, siano state estremamente parche nel ricorrere allo strumento delle licenze volontarie.
Sotto altro profilo, sebbene il finanziamento pubblico della ricerca sia stato significativo, è semplicistico affermare che abbia costituito l’unico motore dello sviluppo del vaccino, in presenza di un apparato industriale nel campo biomedicale finanziato abbondantemente da capitale di rischio privato.
Negli Stati Uniti il Bayh-Dole Act e il Stevenson-Wydler Act entrambi del 1980 sono i due strumenti normativi che hanno promosso l’innovazione, specialmente nel settore biomedicale, attraverso la collaborazione pubblico privato. Con il secondo provvedimento si crea un meccanismo per incoraggiare la cooperazione tra laboratori di ricerca federali e aziende private al fine di agevolare il trasferimento di tecnologia; con il primo, si è già accennato, vengono attribuiti alle università e alle aziende private impegnate nella ricerca avanzata i diritti di proprietà intellettuale sui risultati dell’attività finanziata (anche) da fondi federali: analisi del provvedimento, sebbene rilevino aree di criticità, riconoscono gli effetti positivi sull’espansione dell’attività di ricerca, sull’attrazione di ingenti capitali privati e sul numero dei brevetti conseguiti, ad esempio dalle istituzioni universitarie[55].
Nel Regno Unito il Jenner Institute dell’Università di Oxford che ha sviluppato il vaccino è finanziato dal governo britannico e con erogazioni liberali tra gli altri dal Wellcome Trust, da Gates Foundation, e da istituzioni pubbliche internazionali (tra cui il CEPI e, almeno fino alla Brexit, la Commissione Europea). Ma il ruolo dei fondi privati è rilevante.
È interessante approfondire il sistema virtuoso che si è attivato intorno ai laboratori di ricerca dell’università[56].
Nel 1987 l’Università di Oxford ha costituito una società con lo scopo di gestire i diritti di proprietà intellettuale generati dai suoi ricercatori, Oxford University Innovation Ltd (la società che ha concesso in licenza il brevetto del vaccino di Oxford ad AstraZeneca) che opera secondo due linee alternative: o concede in licenza a privati i brevetti sviluppati destinando le royalties così conseguite e poi canalizzate all’università in vista di ulteriori investimenti nella ricerca; oppure sostiene i ricercatori universitari nella costituzione di spin-off, ossia società con scopo di lucro destinate all’utilizzazione economica dei risultati della ricerca universitaria.
A supporto finanziario di queste nuove società agisce Oxford Science Innovation un operatore di venture capital cui partecipano oltre all’università di Oxford società di investimento pubbliche e private, altri operatori di venture capital quali Google Ventures, il fondo sovrano dell’Oman, compagnie multinazionali come le cinesi Tencent e Fosun Pharma, il Wellcome Trust ente indipendente di beneficienza britannico. Oxford Science Innovation ha raccolto oltre 600 milioni di sterline.
Vaccitech Ltd è una società con scopo di lucro, spin-off costituito nel 2016 dai due ricercatori di punta del Jenner Institute, Sarah Gilbert e Adrian Hill (che dirige l’istituto): dalla nascita si occupa dello sviluppo insieme al Jenner Institute della piattaforma ChAdOx (quella su cui si basa il vaccino). La società si è avvalsa delle risorse legali e commerciali messe a disposizione da Oxford University Innovation e dei finanziamenti di Oxford Science Innovation che ne è socia al 44%. Gilbert e Hill detengono ciascuno il 5% delle partecipazioni, l’Università di Oxford ha il 6%, Google Ventures e Sequoia Capital China rispettivamente il 12% e il 10%. Vaccitech e Università di Oxford sono contitolari dei diritti di proprietà intellettuale sui risultati delle ricerche sulla piattaforma ChAdOx e dei vaccini sviluppati.
È appena il caso di evidenziare che storie di successo come quella del vaccino di Oxford, e ancor più del vaccino sviluppato dalla tedesca BioNTech e poi commercializzato in partnership con Pfizer, del vaccino americano Moderna, sono il frutto di una combinazione di interventi pubblici e privati, ma originano da realtà, piccoli biotech innovators, che crescono, nella fase iniziale, prevalentemente grazie agli investimenti di operatori di venture capital, solo sull’aspettativa dei ritorni garantiti dai diritti di proprietà intellettuale.
*** ***
In prospettiva futura può essere oggetto di discussione un ripensamento radicale del sistema della proprietà intellettuale soprattutto in ambito farmaceutico (e della posizione di monopolio che garantisce) come motore degli investimenti nella ricerca, non potendosi in assoluto affermare che una sospensione della tutela della proprietà intellettuale, in particolare una situazione di emergenza sanitaria globale, disincentivi futuri investimenti qualora dovessero presentarsi situazioni simili.
Il ruolo dei diritti di proprietà intellettuale nell’ambito dell’innovazione e nel rapporto tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo è stato oggetto di trattazione ben prima della pandemia.
Dosi e Stiglitz[57] evidenziano il disallineamento tra private returns dell’innovazione garantiti dai diritti di proprietà intellettuale e social returns. La conoscenza va considerata come “quasi-public good”, ma, al contrario di altri beni pubblici, si ricorre al settore privato sia per la produzione che per il finanziamento di molte innovazioni. Ed allora la sfida è quella di individuare le modalità più efficienti perché il mercato produca il livello desiderabile di un tale bene pubblico. Attraverso il sistema dei diritti di proprietà intellettuale, della maggior parte dei benefici della conoscenza si appropriano coloro che in conoscenza investono, ma ciò implica anche che, in situazione di scarsità artificiale, la conoscenza prodotta non viene usata in maniera efficiente.
La conclusione cui giungono gli autori è che non esiste una chiara relazione tra tutela dei diritti di proprietà intellettuale e innovazione e, anzi, che se una qualche relazione emerge, ad esempio nel settore farmaceutico, è quella che porta a riscontrare un effetto deterrente dell’innovazione. L’innovazione è direttamente correlata al grado di opportunità che ogni industria offre, mentre il sistema dei diritti di proprietà intellettuale ne restringe l’ambito, disincentivando l’accesso di innovatori.
Gli autori[58] osservano poi come il regime dei diritti di proprietà intellettuale rende oggi estremamente complesso colmare il gap di conoscenza tra paesi a diverso livello di sviluppo e che il sistema cristallizzato nel TRIPS di fatto impedisce l’accesso dei paesi in via di sviluppo alla conoscenza: un regime di diritti di proprietà intellettuale adatto ai paesi industrializzati avanzati potrebbe non essere altrettanto adatto ai paesi in via di sviluppo; i diritti di proprietà intellettuale sono solo una componente del sistema di innovazione di un paese e, almeno in molti paesi, è stata posta un’enfasi eccessiva sui diritti di proprietà intellettuale; vi è la possibilità di riformare il sistema dei diritti di proprietà intellettuale e, più in generale, il sistema di innovazione, sia nei paesi avanzati che nei paesi in via di sviluppo, così da rafforzare l’innovazione insieme al benessere della società; le conseguenze negative per il benessere e la crescita generate dall’attuale regime dei diritti di proprietà intellettuale (compreso l’accordo TRIPS) sono più profonde per i paesi in via di sviluppo che per i paesi sviluppati. Viene ad esempio proposto di ripensare norme come il Bayh-Dole Act, ad esempio assicurando l’accesso gratuito a farmaci essenziali che siano il risultato della ricerca finanziata con fondi pubblici[59].
In particolare in tema di innovazione in ambito biomedicale viene rilevato che esistono prove estremamente solide che nell’industria farmaceutica i brevetti sono ritenuti dai manager uno strumento importante per appropriarsi dei benefici economici dell’innovazione e che la ricerca e lo sviluppo sarebbero sostanzialmente ridotti in assenza di protezione brevettuale. Tuttavia, le aziende farmaceutiche innovative hanno storicamente utilizzato strumenti diversi dai brevetti per estrarre profitti dalle loro innovazioni: ad esempio, pubblicità, investimenti esteri diretti e licenze[60].
Boldrin e Levine[61] si sono proposti di smantellare “le fondamenta intellettuali della posizione mercantilista, la quale oggi insegna che, senza il monopolio intellettuale, l’innovazione sarebbe impossibile”.
In particolare in campo farmaceutico hanno argomentato, da un lato, evidenziando come nell’evoluzione della normativa sui brevetti dei farmaci i paesi che hanno introdotto dopo altri tale forma di tutela non hanno risentito, in assenza del riconoscimento di privativa sui farmaci, di un freno all’innovazione; dall’altro pur sottolineando come l’industria farmaceutica contribuisca solo per un terzo alle spese della ricerca (finanziate prevalentemente da fondi pubblici) non ritengono tale rilievo decisivo, non potendosi escludere che la porzione finanziata dai privati sia utilizzata in modo più efficiente.
Invece osservano come oltre la metà delle medicine più vendute nel mondo non deve la propria esistenza ai brevetti.
Concludono rilevando che la massa di investimenti assorbita dall’industria farmaceutica si disperde in sprechi del tutto evitabili: solo in parte in profitti per gli azionisti, in misura ben più consistente nella ricerca dei cosiddetti “farmaci copioni” (o in quella che viene definita concorrenza oligopolistica), nella pubblicità, nei costi legali correlati, ma soprattutto negli esami clinici. Sostenere i costi in esami clinici, per i farmaci realmente innovativi, mira a produrre l’informazione sugli effetti del farmaco, riguardando allora tale attività un vero e proprio bene pubblico: tali costi semmai dovrebbero essere posti a carico dell’erario ed allocati su base meritocratica. Verrebbe meno così la necessità della rendita monopolistica garantita dai brevetti.
La proposta di Boldrin e Levine per avviare un processo di superamento della proprietà intellettuale in campo farmaceutico verte allora, tra le altre cose, sulla liberazione dell’industria farmaceutica dagli oneri degli stadi II e III degli esami clinici con proporzionale riduzione della durata dei brevetti. Sul fronte della difficoltà dei paesi poveri a poter disporre di farmaci a prezzi accessibili gli autori si pongono il problema della sospensione temporanea dei diritti di proprietà intellettuale, proponendo di limitare le importazioni parallele verso i paesi dove la protezione della proprietà intellettuale non è sospesa. In ultima analisi se un’azienda può vendere a un prezzo alto grazie a protezioni legali, non farà alcuno sforzo per produrre utilizzando metodi migliori e più economici.
Se caliamo tali argomenti nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, si è visto come in Europa, Stati Uniti e Regno Unito le case farmaceutiche siano state ampiamente finanziate da soggetti pubblici, in alcuni casi espressamente prevedendosi che fosse il committente pubblico a farsi carico degli oneri della fase III della sperimentazione[62], mentre se oggi la richiesta di sospensione generalizzata dei diritti di proprietà intellettuale è in discussione su iniziativa di India e Sudafrica, già sono attive forme di sospensione della tutela brevettuale valide nei paesi meno sviluppati che però non hanno realizzato i risultati sperati in termini di diffusione della conoscenza.
9. La concessione del waiver produrrebbe gli effetti pratici che si ripromette?
Tuttavia, riconosciuta la fondatezza di molti argomenti a supporto della proposta di waiver, ci si deve domandare in che misura l’accoglimento della proposta consenta in concreto il raggiungimento dell’obiettivo dichiarato di accelerare in modo decisivo la produzione del vaccino su scala globale.
I problemi emersi nella diffusione del vaccino, anche di fronte a committenti dei paesi più ricchi, hanno riguardato la capacità produttiva organizzata dalle case farmaceutiche pur ricorrendo ad aziende con lunga esperienza nel settore e con cui erano intrattenute relazioni consolidate nel tempo (si veda Moderna con Lonza) e rispetto alle quali si è condotto un processo di trasferimento della tecnologia condiviso e organizzato, oltre che ampiamente finanziato dai committenti.
Eppure, pur in un sistema condiviso, si sono prodotti ritardi ed inefficienze nei processi produttivi.
Il processo di produzione del vaccino è estremamente complesso, coinvolge molteplici fornitori e fasi diversificate. Richiede l’approvvigionamento di ingredienti e materie prime, la disponibilità e l’organizzazione di macchinari come bioreattori, pompe, unità di filtraggio, fino alle fiale in vetro e ai macchinari di infialamento. È un sistema delicato in cui eventuali difficoltà in una fase anche marginale (la temporanea indisponibilità di una materia prima, il guasto di un macchinario, un errore di dosaggio) possono compromettere l’intero processo[63]. Senza contare le complessità nella fase di organizzazione delle varie fasi e delle molteplici aziende coinvolte, il trasferimento della tecnologia, la condivisione del know-how, la predisposizione di una rete di sicurezza per far fronte agli imprevisti.
Solo per citare alcuni esempi, la produzione del vaccino Johnson & Johnson è stata sospesa nello stabilimento Emergent Biosolution di Baltimora a causa di contaminazioni del prodotto con componenti del vaccino AstraZeneca realizzato nella stessa fabbrica, a cui si sono aggiunte una serie di inefficienze nei processi produttivi rilevati dagli ispettori di FDA. Inoltre la produzione è stata rallentata in relazione alla circostanza che solo uno stabilimento in Olanda era in grado di fornire i raw materials per il vaccino[64].
Il contenzioso AstraZeneca – Unione Europea ha dimostrato poi quante incognite vi siano nella predisposizione della catena produttiva[65] pur in un sistema organizzato e condiviso. AstraZeneca, ha esternalizzato la realizzazione delle varie fasi di produzione individuando una serie di fornitori e di stabilimenti, la cui organizzazione è stata integralmente finanziata dal committente Commissione Europea in occasione del contratto di fornitura di 300 milioni di dosi. Il contratto tra Unione Europea e AstraZeneca[66] espone un dettaglio dei costi previsti per assicurare al committente la capacità produttiva di 300 milioni di dosi per il primo semestre 2021: si tratta di 336 milioni di euro complessivi, versati a rischio del committente come advance payment a valere sul prezzo della fornitura se e quando il vaccino fosse stato approvato: di tale somma 41 milioni sono destinati a technology transfer e tech support, 41 riguardano la fornitura di critical material (ad esempio fiale), 49 milioni sono destinati alla messa a disposizione di attività di packaging, 205 milioni per raw materials.
L’ordinanza del Tribunale di Bruxelles nella parte narrativa[67] rende evidente come, pur in presenza di contratti negoziati di trasferimento di tecnologia con operatori di provata esperienza, la produzione sia soggetta a ritardi, problemi, rideterminazione dei livelli di produzione, interruzione dei rapporti con alcune aziende integrate nella filiera produttiva perché non idonee a far fronte agli standard qualitativi e quantitativi concordati.
Si è visto come il processo di trasferimento di tecnologia sia complesso e articolato, non si risolva insomma nella messa a disposizione di un manuale di istruzioni, ma richieda uno scambio continuo di informazioni in cui viene coinvolto personale altamente qualificato sia da parte del trasmittente che del ricevente, al fine di predisporre protocolli condivisi e dettagliati. Ad esempio viene riferito che per rendere operativo il processo di technology transfer da AstraZeneca a Serum Institute, l’azienda indiana, tra l’altro una delle aziende all’avanguardia nel mondo nel campo dei vaccini, ha dedicato uno staff di circa 1000 operatori specializzati[68].
L’adeguamento delle linee produttive è costoso e richiede tempi lunghi per essere adattato alle nuove esigenze, l’approvvigionamento delle materie prime può essere favorito dall’esistenza di rapporti pregressi con i fornitori, ma nonostante questo è soggetto a temporanee situazioni di indisponibilità[69].
La risposta all’interrogativo posto in principio -se la sospensione della tutela dei diritti di proprietà intellettuale è idonea a dare un impulso decisivo alla produzione di vaccini da destinare ai paesi a medio basso reddito- sembra pertanto negativa. Sebbene le argomentazioni a favore del waiver siano in parte fondate, e quelle contrarie, basate su pregiudizi ideologici, siano spesso pretestuose, l’effetto pratico del waiver sarebbe praticamente nullo.
Poche aziende dei paesi a medio basso reddito dispongono della tecnologia per realizzare un vaccino ove potessero accedere liberamente ai diritti di proprietà intellettuale in caso di sospensione della tutela (in particolare Brasile e, non a caso, i due promotori della proposta India e Sudafrica). Le aziende di maggior rilievo di Brasile, India e Sudafrica già sono impegnate nella produzione di vaccini sulla base di licenze volontarie, e pur disponendo delle competenze per gestire i processi di trasferimento della tecnologia, peraltro con modalità condivise con i titolari dei diritti di proprietà intellettuale, si sono evidenziate diverse fragilità, comuni peraltro alle aziende dei paesi occidentali, della efficienza della filiera produttiva e di approvvigionamento delle sostanze e dei macchinari necessari. I paesi LDC, per cui già opera la sospensione dei diritti di proprietà intellettuale in campo farmaceutico (ed è una sospensione programmata fino al 2033 tale da giustificare investimenti con una prospettiva di medio lungo termine, cosa che difficilmente può avvenire nell’ipotesi di waiver con l’orizzonte limitato di una sospensione per la durata di tre anni) non si sono avvalsi delle facoltà riconosciute (se non il Bangladesh producendo il farmaco generico Remdesivir).
Il problema principale pare allora, nel breve termine, che è quello che interessa nell’attuale emergenza, quello di incrementare la capacità produttiva, aspetto che rimarrebbe in larga misura irrisolto con un libero accesso ai diritti di proprietà intellettuale.
Diverso sarebbe stato il caso in cui i committenti dei paesi più sviluppati, come nelle intenzioni della sola Unione Europea, peraltro non attuate, avessero preteso in fase di stipula dei contratti di fornitura uno specifico impegno produttivo delle aziende farmaceutiche a favore dei paesi più poveri.
Il WTO non sembra poi la sede più adatta per risolvere situazioni di emergenza, regolando attraverso i trattati, in particolare il TRIPS per gli aspetti correlati ai diritti di proprietà intellettuale, la cornice dei rapporti commerciali tra Stati[70], in una fase in cui sarebbe necessario il coinvolgimento attivo dei singoli governi per ottenere dalle case farmaceutiche un incremento della capacità produttiva. E non a caso le discussioni in ambito WTO sembrano ferme ad un punto morto: il dibattito tra le varie posizioni sicuramente è stimolante sotto il profilo teorico, ma non è stato raggiunto alcun risultato concreto, se è vero che all’ultima riunione del General Council del 27-28 luglio non si è fatto altro che rinviare la discussione a settembre[71].
10. Gli effetti (positivi) della discussione sulla proposta di waiver
La pressione politica determinata dalla proposta di waiver ha tuttavia prodotto alcuni risultati concreti: sono ripartite le contribuzioni internazionali a COVAX tanto da diminuire il gap finanziario esistente tra risorse disponibili e fondi necessari a raggiungere gli obiettivi prefissati, sono state avviate significative donazioni di vaccini dai paesi che dispongono di una eccedenza di dosi verso i paesi in cui la campagna vaccinale non è sostanzialmente ancora partita, le case farmaceutiche hanno finalmente avviato alcuni accordi di licenza volontaria con aziende nei paesi a medio basso reddito.
In una prospettiva più generale la proposta è stata anche l’occasione per stimolare una riflessione sulla necessità di una più efficiente collaborazione internazionale per far fronte a crisi globali.
Da un lato si è avviata una discussione su quali siano gli obblighi etici delle cause farmaceutiche in emergenza sanitaria, di cui alcuni elementi essenziali sono stati riassunti in un articolo pubblicato qualche giorno fa su Lancet[72]. Un approccio etico si fonda su quattro principi: ottimizzazione della produzione e sviluppo dei vaccini; equa distribuzione; sostenibilità, ossia una visione di lungo termine con un corretto bilanciamento degli interessi di tutti i soggetti coinvolti così da non compromettere la volontà e capacità delle case farmaceutiche di affrontare una futura crisi sanitaria; e infine responsabilità, ossia la disponibilità ad accettare un controllo pubblico internazionale sulle scelte adottate, la definizione di regole di comportamento e dei meccanismi per sanzionare eventuali deviazioni dagli standard prefissati.
Per realizzare un approccio etico in concreto gli autori dell’articolo pubblicato su Lancet sopra citato individuano quattro diversi scenari, nessuno dei quali del tutto soddisfacente.
Il tiered pricing approach, per cui il vaccino viene fornito a prezzi più bassi (sostanzialmente a prezzo di costo) ai paesi più poveri, non garantisce comunque un’equa distribuzione perché le case farmaceutiche possono essere indotte a soddisfare prima le forniture dei paesi ad alto reddito cui viene applicato un prezzo più alto; il global public goods approach, con l’obiettivo di fornire il vaccino in modo equo ed accessibile a tutti attraverso la condivisione di brevetti, know-how e conoscenze da parte della case farmaceutiche, potrebbe però pregiudicare la sostenibilità del sistema nel lungo periodo, oltre a non essere efficace se, oltre alla rinuncia della proprietà intellettuale, aziende, governi e organizzazioni non governative non attivassero uno sforzo comune per incrementare la capacità produttiva e di approvvigionamento di materie prime, processo che, peraltro, anche ove avviato, richiederebbe mesi se non anni per realizzare gli obiettivi prefissati: il partly bilateral approach, prevede un limite al numero di dosi oggetto di accordi bilaterali, assicurando la fornitura di un numero sufficiente di dosi ai paesi più poveri, ma si tratta di un approccio inefficace in un sistema, come quello attuale, di accordi bilaterali non trasparenti; il fully multilateral approach, infine, presupporrebbe l’esistenza di una unica centrale di acquisto internazionale ed una distribuzione sulla base delle necessità e non della ricchezza del paese destinatario: anche in questo caso non si eliminerebbe il rischio di avvantaggiare i paesi che sostengono finanziariamente l’istituzione internazionale utilizzata come unico committente oltre a non garantire la piena efficienza del sistema in termini di sviluppo della capacità produttiva in presenza di un unico acquirente che si ponga l’obiettivo di spuntare i prezzi più bassi.
In conclusione si auspica un sistema che determini una maggiore collaborazione tra aziende farmaceutiche, governi, organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative, in vista di una più efficiente diffusione delle innovazioni in campo biomedicale in situazioni di emergenza, affermando la necessaria osservanza di principi etici da parte dell’industria farmaceutica in tempi di pandemia.
*** ***
In una prospettiva di più lungo termine sarebbe opportuno immaginare un trattato internazionale che favorisca una risposta globale e condivisa di fronte a future possibili crisi sanitarie globali. In tale direzione va la proposta di Bown e Bollyky[73] che sottolinea la mancanza di coordinamento, e di strumenti che lo favorissero, tra i vari soggetti portatori di interessi nel corso della pandemia. In questo ipotetico quadro le aziende farmaceutiche dovrebbero accettare di uniformare la loro attività in situazioni di emergenza sanitaria globale a parametri ed obblighi etici ampiamente condivisi, senza che sia necessario sospendere la tutela dei diritti di proprietà intellettuale.
Al fine di una risposta efficiente a situazioni di emergenza globale si è visto come il tema centrale sia quello della capacità produttiva.
I paesi che hanno potuto avviare con più prontezza la propria strategia vaccinale sono quelli che hanno compreso che la risposta alla pandemia era principalmente una questione di politica industriale piuttosto che solo sanitaria.
Ad esempio negli Stati Uniti uno dei cardini dell’Operazione Warp Speed è stato proprio quello di predisporre anticipatamente adeguati supporti alla produzione, non limitandosi ad affidarne l’intera responsabilità ai fornitori: le agenzie federali hanno così direttamente investito nelle varie fasi della catena produttiva con il coinvolgimento di altri operatori. Ciò è avvenuto prevalentemente utilizzando lo strumento dei Centers for Innovation in Advanced Development and Manufacturing, forme preesistenti di partnership tra agenzie pubbliche facenti capo al dipartimento della difesa ed aziende private: in questo modo si è creata una rete di contratti idonei a coprire le diverse fasi della filiera produttiva a sostegno dei produttori di vaccini.
Anche la strategia del Regno Unito ha individuato una delle chiavi nell’investimento diretto nella produzione: il BEIS (Dipartimento degli Affari, dell’Energia e della Strategia Industriale) è stato autorizzato dal Dipartimento del Tesoro ad allocare fino a 420 milioni di sterline nelle strutture produttive. Il Regno Unito, ben prima che si manifestasse la pandemia, era all’avanguardia negli investimenti pubblici sull’innovazione e nel campo biomedicale, con particolare riguardo al settore dei vaccini. L’emergenza si rivela l’occasione per accelerare i progetti già avviati e così affrontare l’attuale pandemia, ma anche prepararsi a far fronte a possibili emergenze future: vengono così investite ingenti risorse per la realizzazione di centri pubblici di produzione del vaccino, strutture di infialamento, l’acquisto di macchinari.
Tali strategie erano prevalentemente orientate a realizzare obiettivi di indipendenza vaccinale (se non più esplicitamente, in combinazione con altre politiche, di vero e proprio nazionalismo vaccinale); tuttavia, nella diversa prospettiva di una risposta comune a future emergenze, predisporsi ad affrontare il nodo della produzione, a livello di governo globale delle situazioni di crisi, dovrebbe essere un primo obiettivo da perseguire, eventualmente fin d’ora creando un network, finanziato da istituzioni sovranazionali, di aziende diffuso in ogni continente con le capacità tecnologiche e produttive per far fronte alla domanda mondiale.
Vanno poi realizzate in concreto le condizioni, fissate in sede WTO come obiettivo ineludibile, ma malauguratamente inattuato (come indicato in principio del § 5), per un trasferimento della tecnologia efficiente verso i paesi in via di sviluppo.
È poi necessario stabilire impegni espliciti dei paesi più ricchi per fronteggiare situazioni di emergenza sanitaria globale: e così di finanziare la risposta comune alle minacce alla salute pubblica, di astenersi dall’imporre restrizioni alle esportazioni di presidi sanitari essenziali, di prevedere obbligatoriamente negli accordi bilaterali di fornitura con le case farmaceutiche la destinazione di una quota dei vaccini (o farmaci o strumenti diagnostici) a favore di paesi a medio basso reddito, tanto più in situazioni in cui lo sviluppo del vaccino sia finanziato dai governi, direttamente o indirettamente (ad esempio, come visto, con pagamenti anticipati a rischio sulle forniture, con esenzione della responsabilità dei produttori).
Eventualmente andrebbe previsto un sistema globale assimilabile al DPA statunitense che consenta in periodi di emergenza di imporre ai governi, su indicazione di una organizzazione sovranazionale, la riallocazione di materie prime, servizi e strumenti di produzione di aziende private affidando contratti che acquisiscono priorità su ogni altro impegno al fine di promuovere la risposta globale a situazioni di emergenza sanitaria.
L’auspicio è che la pandemia possa avere evidenziato le debolezze del sistema e che tutti gli attori coinvolti siano, quanto meno nell’immediatezza di questa crisi, disposti a creare le basi per poter rispondere in maniera efficiente a emergenze future.
[1] C. ÇAKMAKLI, S. DEMIRALP, Ṣ. KALEMLI-ÖZCAN, S. YEŞILTAŞ, M.A. YILDIRIM “The Economic Case For Global Vaccinations: An Epidemiological Model With International Production Networks”, aprile 2021, reperibile al seguente link https://www.nber.org/system/files/working_papers/w28395/w28395.pdf studio i cui risultati sono riassunti nel sito della ICC https://iccwbo.org/publication/the-economic-case-for-global-vaccinations/
[2] In particolare ad oggi le dosi donate sono 350 milioni dagli Stati Uniti (a cui si aggiungono i 500 milioni di dosi Pfizer acquistati per essere donati ai paesi a basso reddito, come meglio specificato alla successiva nota 53), 217,8 milioni dal Team Europe (di cui 69,5 milioni dalla Francia, 30 milioni dalla Germania, 23,9 milioni dalla Spagna, 15 milioni dall’Italia, 4,1 milioni dal Belgio e dalla Danimarca, oltre al Portogallo che si impegna a donare il 5% di tutte le dosi ricevute); 85,2 milioni dal Regno Unito; 41 milioni dal Giappone; 30,7 milioni dal Canada; 5,6 milioni dalla Norvegia; 4 milioni dalla Svizzera; 1,8 milioni dalla Nuova Zelanda, 1 milione dagli Emirati Arabi Uniti, 1.100 dosi dal Principato di Monaco. Tuttavia delle oltre 737 milioni di dosi, ad oggi sono state consegnate solo 37,7 milioni di dosi
[3] La tabella viene periodicamente aggiornata ed è accessibile al seguente link https://launchandscalefaster.org/covid-19/vaccinepurchases
[4] Negli Stati Uniti al fine di incoraggiare lo sviluppo rapido e l’implementazione di contromisure mediche durante un’emergenza sanitaria pubblica, il Public Readiness and Emergency Preparedness Act (PREP Act) autorizza il Secretary of Health and Human Services (HHS) a limitare la responsabilità legale per i danni connessi alla somministrazione di farmaci, strumenti diagnostici e vaccini. Il 4 febbraio 2020 la malattia da COVID-19 è stata dichiarata emergenza sanitaria pubblica cui applicare le previsioni del PREP Act in modo da garantire liability protection in relazione all’uso delle contromisure designate tra cui, per quanto qui interessa, i vaccini. Ne deriva una generale esenzione da responsabilità civile, ad esempio per i produttori di vaccini, con l’unica eccezione dei danni da morte o lesioni gravi derivanti da willful misconduct.
Nel Regno Unito in base alla Regulation 345 del The Human Medicines Regulations del 2012, sotto la rubrica Immunity from civil liability, è previsto che ogni qualvolta l’autorità regolatoria britannica, MHRA, emetta una raccomandazione per l’uso di un farmaco o di un vaccino in situazioni di emergenza in risposta, nel caso, a pathogenic agents (ed in assenza di autorizzazione alla commercializzazione di un farmaco o, per come integrato nel 2020, in presenza di una temporary authorisation come quelle rilasciate da MHRA per i vaccini contro il SARS-CoV-2) “none of the following are to be subject to any civil liability for any loss or damage resulting from the use of the product in accordance with the recommendation or requirement” con l’elencazione, nel seguito, dei soggetti esonerati da responsabilità, tra i quali, il titolare della temporary authorisation, i produttori e i soggetti responsabili della commercializzazione del prodotto nel Regno Unito, loro dirigenti, agenti e dipendenti. L’esenzione da responsabilità civile viene meno solo ove l’autorità regolatoria MHRA individui un “sufficiently serious breach” delle prescrizioni contenute nella autorizzazione temporanea.
Nell’Unione Europea non è prevista un’esclusione di responsabilità per legge, ma, come detto, i contratti di fornitura prevedono che i produttori siano tenuti indenni dagli Stati degli oneri risarcitori eventualmente sostenuti.
[5] Negli Stati Uniti a fronte della limitazione di responsabilità stabilita dal PREP Act per il caso di morte o lesioni gravi direttamente causate dalla somministrazione, ad esempio, dei vaccini, viene riconosciuto un indennizzo attraverso il Countermeasures Injury Compensation Program (CICP). L’indennizzo ha ad oggetto il rimborso delle spese mediche sostenute, il lost employment income e, nel caso di morte, a favore dei più stretti congiunti (coniuge, figli minori di 18 anni o di 22 se studenti), consente l’accesso a survivors death benefits.
Anche nel Regno Unito sono previste forme di indennizzo per il caso di eventi avversi gravi. Da un lato è fatta salva l’operatività del Consumer Protection Act 1987 per il caso di prodotti difettosi, ma tali disposizioni operano solo nel caso di difetti ad esempio del singolo lotto di vaccini. Per il caso in cui il danno sia prodotto invece dal vaccino, e non per un difetto del singolo lotto, opera, anche nel Regno Unito come negli Stati Uniti, una forma di “no fault compensation scheme” stabilita dal Vaccine Damage Payments Act 1979, applicabile in forza di una integrazione del dicembre del 2020 anche ai vaccini contro il SARS-Cov-2, consistente nel pagamento di una somma di £ 120,000, ma solo per il caso di “severe disability”, derivante dalla somministrazione del vaccino, dove per “severe disability” si intende una invalidità almeno superiore al 60%.
Anche in alcuni Stati dell’Unione Europea sono previste forme di no-fault compensation per i danni causati da vaccini (per lo più per i vaccini obbligatori) ed in particolare in Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Lussemburgo, Lettonia, Slovenia, Svezia.
Gli altri paesi del mondo, oltre a Regno Unito e Stati Uniti, che prevedono forme analoghe di indennizzo sono Islanda, Svizzera Norvegia, Russia, Canada, Cina, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Nepal, Thailandia e Nuova Zelanda.
[6] GAVI “No-fault compensation programme for COVID-19 vaccines is a world first” https://www.gavi.org/news/media-room/no-fault-compensation-programme-covid-19-vaccines-world-first
[7] il peso delle contribuzioni per cui sono stati assunti impegni è passato da 16,5 miliardi di dollari della fine di giugno a 17,8 miliardi di dollari ed è così ripartito: Stati Uniti 6,214 miliardi, Germania 2,623 miliardi, Giappone 1,185 miliardi, Canada 1,145 miliardi, Regno Unito 1,128 miliardi, Commissione Europea 603 milioni, Norvegia 501 milioni, Italia 488 milioni, Diagnostic Consortium for Covid-19 470 milioni, Bill & Melinda Gates Foundation 420 milioni, Svizzera 402 milioni, Arabia Saudita 310 milioni, Francia 307 milioni, Svezia 306 milioni, Spagna 208 milioni, Global Fund 191 milioni, Olanda 164 milioni, GAVI 150 milioni, Australia 131 milioni, Gates Philantropy Partners 118 milioni, Corea del Sud 111 milioni, UNICEF National Committees 103 milioni,Kuwait 80 milioni, Wellcome Trust 75 milioni, Mastercard 57 milioni, oltre a decine di altri contributori per importi inferiori ai 50 milioni come da tracker qui https://www.who.int/initiatives/act-accelerator/funding-tracker
[8] Le esigenze finanziarie di ACT-Accelerator sono riportate e periodicamente aggiornate qui https://www.who.int/publications/m/item/access-to-covid-19-tools-tracker
[9] Negli Stati Uniti ad esempio l’Executive Order 13962 dell’8 dicembre 2020 “Ensuring Access to United States Government COVID-19 Vaccines” espressamente stabilisce: “Policy. It is the policy of the United States to ensure Americans have priority access to free, safe, and effective COVID-19 vaccines. After ensuring the ability to meet the vaccination needs of the American people, it is in the interest of the United States to facilitate international access to United States Government COVID-19 Vaccines”, https://www.federalregister.gov/documents/2020/12/11/2020-27455/ensuring-access-to-united-states-government-covid-19-vaccines
[10] Nei contratti stipulati dagli Stati Uniti è stabilita in linea generale la copertura indennitaria delle case farmaceutiche in base alle previsioni del PREP Act, e una conseguente limitazione all’utilizzo dei vaccini prodotti negli Stati Uniti al di fuori del territorio a prevenire possibili contestazioni di responsabilità: ad esempio questa clausola è contenuta nel contratto AstraZeneca (art. 5), ma analoghe clausole sono contenute in altri contratti: “The Government may not use, or authorize the use of, any products or materials provided under this Agreement, unless such use occurs in the United States (or a U.S. territory where U.S. law applies including, but not limited to, embassies, military installations and NATO installations) and is protected from liability under a declaration issued under the PREP Act, or a successor COVID-19 PREP Act Declaration of equal or greater scope. Any use where the application of the PREP Act is in question will be discussed with AstraZeneca prior to use and, if the Parties disagree on such use, the dispute will be resolved according to Article 7, Disputes.“. Il contratto è rinvenibile qui: https://www.hhs.gov/sites/default/files/astrazeneca-covid-19-vaccine-trials-contract.pdf
[11] Così espressamente “ANNEX to the Commission Decision on approving the agreement with Member States on procuring Covid-19 vaccines on behalf of the Member States and related procedures” del 18 giugno 2020: “In the negotiations with the pharmaceutical industry under the present Agreement, the Commission will promote a Covid-19 vaccine as a global public good. This promotion will include access for low and middle income countries to these vaccines in sufficient quantity and at low prices. The Commission will seek to promote related questions with the pharmaceutical industry regarding intellectual property sharing, especially when such IP has been developed with public support, in order to these objectives. Any vaccines available for purchase under the APAs concluded but not needed and purchased by Participating Member States can be made available to the global solidarity effort”. Il documento al seguente link https://ec.europa.eu/info/sites/default/files/annex_to_the_commission_decision_on_approving_the_agreement_with_member_states_on_procuring_covid19_vaccines_on_behalf_of_the_member_states_and_related_procedures_.pdf
[12] Si veda in particolare l’art. I.10 dell’accordo preliminare di acquisto stipulato tra Commissione Europea e Sanofi https://ec.europa.eu/info/sites/default/files/apa_with_sanofi_gsk.pdf
[13] Il contratto AstraZeneca prevede: “In the event there is an excess of supply of the Initial Europe Doses and Optional Doses, the Participating Member States shall keep their shared rights in the Initial Europe Doses, and shall determine their best use of such excess doses, reserving the possibility to donate them to lower or middle income countries or public institutions and to donate or resell, at no profit, such doses to other European countries that agree to be bound by the terms and conditions of this Agreement applicable to a Participating Member State.”.
Il contratto BioNTech-Pfizer: “Each Participating Member States will have the right to resell or donate them to in need third countries or public institutions, contributing to a global and fair access to the vaccine across the world. The right to resell or donate excess doses under the preceding sentence shall be subject to the Contractor’s consent and be contingent in particular on receipt of (i) written indemnification by the recipient third country or public institution of the Contractor on terms satisfactory to the Contractor, and (ii) written confirmation that the Participating Member States and the receiving third countries or public institutions as the case may be shall, to the extent relevant to their actions in respect of such resale or donation, comply with the applicable storage, transport and product acceptance requirements, as well as conditions of further resale or donation, to the satisfaction of the Contractor”.
Il contratto Moderna prevede limitazioni ancora più stringenti.
Il contratto Sanofi-GSK: “Regarding the pandemic situation the commission or the participating member state are allowed to donate or redistribuite doses between member states or other international entities that have concluded a vaccine order form with Sanofi Pasteur and GSK. Such redistribution to countries, which are part of the EEA is allowed if those countries agree to be bound by equivalent liability protection as set out in this Agreement (…).Redistribution or donation to other countries or international entities will be subject to prior notification to and approval of Sanofi Pasteur and GSK, not to be unreasonably withheld, as well as subject to an agreement by those other countries or international entities that appropriate liability protection at least as protective as the terms of this Agreement is in place for such redistribution or donation”.
[14] Al 10 agosto 2021 sono state consegnate circa 191 milioni di dosi a 138 paesi come da tracker dal sito dedicato Unicef https://www.unicef.org/supply/covid-19-vaccine-market-dashboard
[15] I paesi destinatari sono Afghanistan, Algeria, Angola, Azerbaijan, Bangladesh, Bielorussia, Benin, Bolivia, Bosnia, Botswana, Brunei, Cambogia, Camerun, Ciad, Congo, Djibouti, Repubblica Dominicana, Ecuador, Egitto, El Salvador, Guinea Equatoriale, Etiopia, Gabon, Georgia, Guinea, Guyana, Iran, Iraq, Kirgyzistan, Laos, Libano, Maldive, Mauritania, Mauritius, Mongolia, Montenegro, Mozambico, Myanmar, Namibia, Nepal, Niger, Pakistan. Filippine, Senegal, Sierra Leone, Isole Solomon, Somalia, Sri Lanka, Sudan, Siria, Thailandia, Timor Est, Togo, Trinidad, Tunisia, Uganda, Venezuela, Gaza, Zimbabwe. Anche in questo caso i dati sono tratti dal tracker Unicef https://www.unicef.org/supply/covid-19-vaccine-market-dashboard
[16] https://www.npr.org/sections/goatsandsoda/2021/08/03/1023822839/biden-is-sending-110-million-vaccines-to-nations-in-need-thats-just-a-first-step
[17] https://www.dw.com/en/covid-germany-set-to-donate-vaccine-doses-to-other-countries/a-58695131
[18] Come riferisce l’Ansa il 1° agosto https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2021/08/01/coviditalia-dona-1milione-e-mezzo-di-dosi-vaccino-a-tunisia_5ee3693a-49c2-4072-8c22-ac8ffc89f89a.html
[19] https://www.askanews.it/esteri/2021/08/02/libia-da-italia-240mila-vaccini-di-maio-a-dabaiba-a-vostro-fianco-pn_20210802_00110/
[20] Si vedano i dati periodicamente aggiornati sul sito dedicato di Duke University Global Health Education all’indirizzo internet https://launchandscalefaster.org/covid-19/vaccineprocurement
[21] Si veda ad esempio WHO “Operationalising the Covid-19 Technology Access Pool (C-TAP): a concept paper” a questo link: https://cdn.who.int/media/docs/default-source/essential-medicines/intellectual-property/who-covid-19-tech-access-tool-c-tap.pdf?sfvrsn=1695cf9_36&download=true
[22] La proposta di delibera “Waiver from certain provisions of the TRIPS agreement for the prevention, containment and treatment of COVID-19” prensentata al Council for Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights è al link https://docs.wto.org/dol2fe/Pages/SS/directdoc.aspx?filename=q:/IP/C/W669.pdf&Open=True
A seguito della dichiarata disponibilità degli Stati Uniti di discutere sul piano tecnico del waiver come da comunicato del 5 maggio, I 62 paesi promotori del waiver hanno preannunciato il 18 maggio di essere pronti a riformulare la proposta ridefinendone lo scopo e precisando la durata della sospensione della protezione dei diritti di proprietà intellettuale: https://docs.wto.org/dol2fe/Pages/SS/directdoc.aspx?filename=q:/IP/C/W677.pdf&Open=True
Il 25 maggio è stata presentata la proposta emendata precisando, da un lato, che la sospensione della tutela dei diritti di proprietà intellettuale riguarda unicamente “health products and technologies”, intendendosi “diagnostics, therapeutics, vaccines, medical devices, personal protective equipment, their materials or components, and their methods and means of manufacture” in quanto correlate con la prevenzione, cura e contenimento del virus. Viene indicata una durata minima del waiver in tre anni dall’approvazione del Council. La proposta emendata: https://docs.wto.org/dol2fe/Pages/SS/directdoc.aspx?filename=q:/IP/C/W669R1.pdf&Open=True
[23] Al link la parte pertinente del TRIPS modificato per come recepito dall’Unione Europea https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32007D0768&from=SV
[24] Un elenco delle disposizioni nazionali è rinvenibile sul sito del WIPO https://www.wipo.int/edocs/mdocs/mdocs/en/cdip_5/cdip_5_4_rev-annex1.pdf e gli aggiornamenti, come quelli introdotti ad esempio in Germania, Canada ed Ungheria negli ultimi mesi, qui https://www.wipo.int/covid19-policy-tracker/#/covid19-policy-tracker/access
[25] Si tratta di Afghanistan, Angola, Bangladesh, Benin, Burkina Faso, Burundi, Cambogia, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo, Djibouti, Gambia, Guinea, Guinea Bissau, Haiti, Laos, Lesotho, Liberia, Madagascar, Malawi, Mali, Mauritania, Mozambico, Myanmar, Nepal, Niger, Ruanda, Senegal, Sierra Leone, Isole Solomon, Tanzania, Togo, Uganda, Yemen e Zambia. Altri otto LDC sono in trattativa per l’ingresso nel WTO: Bhutan, Comoros, Etiopia, Sao Tome & Principe, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Timor Est.
[26] Come riferito in questo annuncio WTO https://www.wto.org/english/news_e/news21_e/trip_30jun21_e.htm
[27] “Least developed country Members will not be obliged, with respect to pharmaceutical products, to implement or apply Sections 5 and 7 of Part II of the TRIPS Agreement or to enforce rights provided for under these Sections until 1 January 2033, or until such a date on which they cease to be a least developed country Member, whichever date is earlier”. Così la decisione del Consiglio del 6 novembre 2015 qui https://docs.wto.org/dol2fe/Pages/SS/directdoc.aspx?filename=q:/IP/C/73.pdf&Open=True
[28] Si vedano il comunicato dell’azienda Beximco http://freepdfhosting.com/975f3564f8.pdf , l’articolo Reuters sulla vicenda https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-bangladesh-remdesi-idINKBN22H1DD e l’approfondimento pubblicato su un giornale locale sulle implicazioni della normativa https://www.dhakatribune.com/opinion/special/2020/04/08/coronavirus-and-the-question-of-intellectual-property
[29] “We feel a special obligation under the current circumstances to use our resources to bring this pandemic to an end as quickly as possible. Accordingly, while the pandemic continues, Moderna will not enforce our COVID-19 related patents against those making vaccines intended to combat the pandemic. Further, to eliminate any perceived IP barriers to vaccine development during the pandemic period, upon request we are also willing to license our intellectual property for COVID-19 vaccines to others for the post pandemic period”. https://investors.modernatx.com/news-releases/news-release-details/statement-moderna-intellectual-property-matters-during-covid-19/
[30] Come del resto evidenziato nel documento presentato al WTO da alcuni dei paesi proponenti il waiver: “This announcement does not provide other manufacturers much legal certainty as to freedom to operate and does not include other forms of intellectual property protected information and technology needed to produce the vaccine such as cell lines and know-how” https://docs.wto.org/dol2fe/Pages/SS/directdoc.aspx?filename=q:/IP/C/W672.pdf&Open=True. Senza contare che per i vaccini a tecnologia mRNA il panorama complessivo particolarmente frammentato dei brevetti coinvolti e della loro titolarità non fornisce all’eventuale utilizzatore alcuna sicurezza sulla possibilità di utilizzare liberamente il brevetto Moderna, si veda ad esempio C. MARTIN, D. LOWERY “mRNA vaccines: intellectual property landscape” in https://www.nature.com/articles/d41573-020-00119-8
[31] Reperibile al link https://www.keionline.org/misc-docs/Lonza-Moderna-Agreement-4Sept2020.pdf
[32] L’articolo pertinente dell’accordo staoilisce: “Based on the information provided by MODERNA and including process definition or changes mutually agreed by the Parties pursuant to the relevant Statement of Work, LONZA will prepare the Project Documentation for the applicable Process in accordance with the schedule set forth in the relevant Statement of Work and the Specifications, the LONZA Operating Documents and any written instructions provided by MODERNA (provided that LONZA shall be required to comply with such written instructions only if such instructions comply with cGMP requirements, data integrity specifications or commitments made by MODERNA to the applicable Regulatory Authorities). MODERNA will inform LONZA of any specific requirements MODERNA may have relating to the Project Documentation, including, without limitation, any information or procedures MODERNA wishes to have incorporated therein. The applicable Project Documentation, as set forth in the relevant Statement of Work, shall be completed and delivered by LONZA at completion of a Batch. LONZA will not use or incorporate any non-commercially available materials, Technology, LONZA Technology or LONZA Improvements in connection with the performance of any Services or the Process, unless such non-commercially available materials, Technology, LONZA Technology or LONZA Improvements are specifically agreed to by the Parties and identified in the relevant Statement of Work, including the applicable terms and conditions of the use or incorporation of such non-commercially available materials, Technology, LONZA Technology or LONZA Improvements. [***].
As set forth in the relevant Statement of Work, MODERNA will cooperate with LONZA to assist LONZA to develop the Project Documentation and Process, including, without limitation, by providing LONZA with additional information and procedures as may be required to create the Project Documentation, Process, and/or any of the following: (a) manufacturing process information, SOPs, development reports, (b) quality control assays and related method validation reports, (c) raw material specifications (including vendor, grade and sampling/testing requirements), (d) Product and sample packing and shipping instructions, and (e) Product-specific cleaning and decontamination information. d. LONZA will deliver a draft version of the applicable portions of the Project Documentation to MODERNA for its review and approval in accordance with the timeline set forth in the relevant Statement of Work. MODERNA will notify LONZA in writing of any objections it has to the draft Project Documentation, and upon such notification, representatives of LONZA and MODERNA will meet promptly in good faith to resolve such objections. LONZA will incorporate all reasonable comments from MODERNA in the Project Documentation. Upon MODERNA’s written acceptance of the draft Project Documentation, such draft will be deemed approved by MODERNA. Any failure by MODERNA to accept in writing any agreed-upon Project Documentation within [***] of receipt will be promptly be escalated to the JSC.
The Process, Project Documentation, Specifications, and any improvements or modifications thereto developed during the Term, but excluding any LONZA Operating Documents, LONZA Technology, LONZA Improvements or LONZA Confidential Information included in any of the foregoing, will be deemed MODERNA Confidential Information and subject to the provisions set forth in Article 10.
For clarity, LONZA will use the LONZA Operating Documents in the Process or the Project Documentation, but LONZA represents and warrants that LONZA Operating Documents are not necessary for MODERNA or a Third Party contract manufacturer to Manufacture Product as it is assumed that MODERNA or a Third Party contract manufacturer would have its own operating documents and SOPs. LONZA shall make LONZA Operating Documents available to support MODERNA or its Third Party contract manufacturer [***]”.
La complessità dei processi di trasferimento di tecnologia è evidente nella contrattualistica pertinente, si veda ad esempio B.G. BRUNSVOLD, D.P. O’REILLY, D.B. KACEDON, Drafting Patent License Agreements, 6th edition, BNA Books, 2008, pagg. 331 e ss. nel capitolo Agreements Concerning the Sale or Other Transfer of Unpatented Technological Values.
[33] Si veda il comunicato del 22 febbraio 2021 dell’azienda brasiliana https://www.fiotec.fiocruz.br/en/news/7424-in-a-note-fiocruz-clarifies-about-technology-transfer-contract-with-astrazeneca : in riferimento ad un accordo stipulato nel settembre 2020, la finalizzazione dell’accordo di trasferimento di tecnologia era previsto solo nel marzo 2021 “The contract detailing the technology transfer was expected to be entered into in 2020. However, the degree of detail required for this type of documentation required more preparation time. The document must be entered into by March”
[34] Il processo di produzione del vaccino BioNTech-Pfizer è descritto in questo articolo del New York Times https://www.nytimes.com/interactive/2021/health/pfizer-coronavirus-vaccine.html . Le complessità del sistema di produzione dei vaccini a tecnologia mRNA è descritta in M. DE BOLLE The new technology behind Pfizer and Moderna COVID-19 vaccines makes them highly effective, but difficult to produce and distribute consultabile qui https://www.piie.com/research/piie-charts/new-technology-behind-pfizer-and-moderna-covid-19-vaccines-makes-them-highly?utm_source=twitter&utm_medium=organic-social&utm_campaign=debolle-vaccine&utm_content=graphic
[35] Riguardava l’accordo tra Canada e Zambia per l’importazione dei farmaci Zidovudine, Lamivudine e Nevirapine prodotti in Canada sulla base di una licenza obbligatoria: https://docs.wto.org/dol2fe/Pages/FE_Search/FE_S_S009-DP.aspx?language=E&CatalogueIdList=67527&CurrentCatalogueIdIndex=0&FullTextSearch=
[36] In the Supreme Court of India – Civil Original Jurisdiction – Suo Motu Written Petition (Civil) No. 3 of 2021 – In re: Distribution of essential supplies and services during pandemic – 30 April 2021, in particolare §§ 42 e seguenti : https://main.sci.gov.in/supremecourt/2021/11001/11001_2021_35_301_27825_Judgement_30-Apr-2021.pdf
[37] Il contratto è reperibile al seguente link https://www.keionline.org/wp-content/uploads/Biolyse-Bolivia-English.pdf
[38] Reperibile qui https://docs.wto.org/dol2fe/Pages/SS/directdoc.aspx?filename=q:/IP/C/W680.pdf&Open=True
[39] Le aziende farmaceutiche peraltro hanno ritenuto la proposta penalizzante e comunque non efficace a conseguire lo scopo di un rapido incremento della capacità produttiva globale: https://www.efpia.eu/news-events/the-efpia-view/statements-press-releases/efpia-response-on-the-eu-communication-on-urgent-trade-policy-responses-to-the-covid-19-crisis/
[40] “Open Letter: Former Heads of State and Nobel Laureates Call on President Biden To Waive Intellectual Property Rules for COVID Vaccines” https://peoplesvaccinealliance.medium.com/open-letter-former-heads-of-state-and-nobel-laureates-call-on-president-biden-to-waive-e0589edd5704 ; J.E. STIGLITZ, L. WALLACH “Will Corporate Greed Prolong the Pandemic?” https://www.project-syndicate.org/onpoint/big-pharma-blocking-wto-waiver-to-produce-more-covid-vaccines-by-joseph-e-stiglitz-and-lori-wallach-2021-05 ; “British Nobel laureates call on Prime Minister to waive vaccine intellectual property at G7” https://peoplesvaccinealliance.medium.com/british-nobel-laureates-call-on-prime-minister-to-waive-vaccine-intellectual-property-at-g7-922b297d1481 ; M. MAZZUCATO, J. GHOSH, E. TORRELEE “Mariana Mazzucato, Jayati Ghosh and Els Torreele on waiving covid patents” https://www.economist.com/by-invitation/2021/04/20/mariana-mazzucato-jayati-ghosh-and-els-torreele-on-waiving-covid-patents ; la open letter di 100 scienziati e accademici internazionali “Academic Open Letter in Support of the TRIPS Intellectual Property Waiver Proposal July 2021” https://research.kent.ac.uk/socril/wp-content/uploads/sites/2122/2021/07/TRIPS-Waiver-Open-Letter.pdf ; in Italia sul tema in particolare A. ROVENTINI “Covid19: sospensione dei brevetti e politiche di innovazione” http://www.sossanita.org/archives/13742
[41] Si veda la dichiarazione rilasciata il 5 maggio scorso dall’Ambasciatrice Katherine Tai https://twitter.com/AmbassadorTai/status/1390021205974003720 . Peraltro si è osservato come nelle negoziazioni TRIPS la disponibilità degli Stati Uniti si sia concentrata sui brevetti, omettendo di approfondire il tema degli altri diritti di proprietà intellettuale necessari per rendere efficace la condivisione dell’invenzione.
[42] il Defense Production Act è una legge del 1950 che attribuisce al Presidente il potere di riallocare materie prime, servizi e strumenti di produzione di aziende private affidando contratti che acquisiscono priorità su ogni altro impegno al fine di promuovere la difesa nazionale (nel caso contro il virus).
[43] Section IX.8, pag 34 di 89 del contratto al seguente link https://www.hhs.gov/sites/default/files/janssen-corp-covid-19-vaccine-contract.pdf
[44] Section 7.1 https://www.hhs.gov/sites/default/files/sanofi-covid-19-vaccine-contract.pdf
[45] Si fa riferimento al richiamo (alla pag. 46 di 53 del contratto Moderna https://www.hhs.gov/sites/default/files/moderna-large-scale-production-sars-cov-2-vaccine.pdf ) tra le clausole da intendersi richiamate di 52.227-11 Patent Rights–Ownership By The Contractor MAY 2014 nel testo attualmente vigente qui https://www.acquisition.gov/far/52.227-11-0
[46] “The Government acknowledges that the Bayh-Dole Act does not apply to or govern this Agreement. Given that the Government will not fund the conception or reduction to practice of Background Inventions or Subject Inventions hereunder, this Agreement shall neither (i) give the Government any rights to “march-in,” as that term is defined in 35 U.S.C. § 203, nor (ii) subject Pfizer to the manufacturing requirements of 35 U.S.C. § 204”, section 7.1., pag. 19 di 35 dell’accordo Pfizer https://www.hhs.gov/sites/default/files/pfizer-inc-covid-19-vaccine-contract.pdf
[47] Argomenti critici nei confronti della proposta di waiver sono esposti in B. MERCURIO “WTO Waiver from Intellectual Property Protection for COVID-19 Vaccines and Treatments: A Critical Review” in Virginia Journal of International Law Online (Forthcoming 2021) https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3789820 . Argomenti a favore del waiver sono invece sviluppati da S. THAMBISETTY, A. MCMAHON, L. MCDONAGH, H.Y. KANG, G. DUTFIELD in “The TRIPS Intellectual Property Waiver Proposal: Creating the Right Incentives in Patent Law and Politics to end the COVID-19 Pandemic” LSE Legal Studies Working Paper No. 06/2021 https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3851737
[48] ABPI, The Biotechnology Innovation Organization (BIO), The European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (EFPIA), The International Council of Biotechnology Associations (ICBA), International Federation of Pharmaceutical Manufacturers and Associations (IFPMA), The Pharmaceutical Research and Manufacturers of America (PhRMA) and Vaccines Europe: “Five steps to urgently advance COVID-19 vaccine equity”
[49] Il CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations) viene fondato nel 2017 dai governi di Norvegia e India, dalla Bill & Melinda Gates Foundation, dal Wellcome Trust e dal World Economic Forum. Raccoglie circa un miliardo di dollari e con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunizations) lancia il Covid-19 Vaccine Global Access (COVAX) con la missione di garantire un equo accesso globale al vaccino.
[50] La task force ha l’obiettivo di affrontare urgentemente la carenza di materie prime e materiali monouso (potenzialmente aumentando la capacità di fornitura) e ad accelerare il transito transfrontaliero di questi materiali, componenti dei vaccini e prodotti finiti. Inoltre predisporrà strumenti diretti a mettere in contatto i produttori in situazione di carenza di prodotti base con quelli che invece ne dispongono. https://cepi.net/news_cepi/covax-manufacturing-task-force/
[51] A. BOURLA “Today I Sent This Letter To Have a Candid Conversation With Our Colleagues About the Drivers of COVID-19 Access and Availability” https://www.linkedin.com/pulse/today-i-sent-letter-have-candid-conversation-our-drivers-bourla
[52] Il sito Unicef https://www.unicef.org/supply/covid-19-vaccine-market-dashboard fornisce una tabella dei costi a dose pagati dai singoli paesi destinatari. Non tutti i dati sono corretti (ad esempio l’Unione Europea ha pagato 2,9 euro a dose il vaccino AstraZeneca e non $ 2,19 come riportato nella tabella), ma indicativamente il vaccino Pfizer è stato pagato $ 6,75 a dose dall’African Union , $ 7 dalla Tunisia, mediamente $ 18,20 dall’Unione Europea, $ 19,50 dagli Stati Uniti.
[53] Ad avviso di Ugur Sahin, fondatore di BioNTech, lo sviluppo della produzione, ad esempio in Africa, richiederebbe almeno dodici mesi per individuare un partner e per portare a termine la fase di trasferimento della tecnologia / addestramento in ogni fase di produzione, infialamento incluso, mentre sarebbero necessari almeno quattro anni prima che il partner possa avere la necessaria competenza per produrre il vaccino in autonomia: “BioNTech prepares expansion into Africa alongside EU” https://www.ft.com/content/2db9e21f-881d-4da2-8394-3ec732024581
Peraltro nel giugno 2021 Pfizer e BioNTech hanno annunciato di essere prossime alla fornitura di 500 milioni di dosi al governo statunitense a not-for-profit price destinate ad essere donato a 100 paesi a medio-basso reddito inclusi i paesi dell’African Union attraverso COVAX. La previsione è che le consegne avvengano a partire dall’inizio di agosto, di modo che 200 milioni di dosi vengano consegnate entro la fine dell’anno e le rimanenti entro la prima metà del 2022. Nel luglio 2021 Pfizer e BioNTech hanno poi annunciato la firma di una lettera di intenti con The Biovac Institute (Pty) Ltd (Biovac), una società farmaceutica sudafricana, al fine di produrre il vaccino BNT162b2 per la distribuzione nei paesi dell’African Union. La produzione inizierà nel 2022 e raggiunta la piena capacità produttiva si arriverà a 100 milioni di dosi realizzate all’anno. Tutte le dosi sono destinate ai 55 paesi dell’African Union.
[54] Ai link seguenti i più recenti dati finanziari (primo trimestre o primo semestre 2021) pubblicati da Pfizer https://s21.q4cdn.com/317678438/files/doc_financials/2021/q2/Q2-2021-PFE-Earnings-Release.pdf , AstraZeneca https://www.astrazeneca.com/content/dam/az/PDF/2021/h1-2021/H1_2021_results_announcement.pdf . I dati di BioNTech pubblicati il 9 agosto 2021 e reperibili qui https://investors.biontech.de/node/10446/pdf sono poi straordinari: “For the six months ended June 30, 2021, total revenues were estimated to be €7,356.9 million compared to €69.4 million for the comparative prior year period. The increase was mainly due to rapid increases in the supply of COVID-19 vaccine worldwide”. E ancora in proiezione annuale “estimated COVID-19 vaccine revenues to BioNTech for the 2021 financial year upon delivery of currently signed supply contracts of ~2.2 billion doses as of July 21, 2021 is ~€15.9 billion”. L’economista Sebastian Dullien stima quale sia l’impatto dei risultati di BioNTech sul PIL tedesco “Big news: according to the details in today’s quarterly report, BioNTech alone is now set to boost German GDP this year by 0.5 % and hence German GDP *growth* 2021 by 0.5 percentage points”. La discussione al riguardo è rinvenibile qui: https://twitter.com/SDullien/status/1424756466037235721?s=20
[55] Ad esempio si veda R. RHINES e D. LEVENSON “Conseguences of Bayh-Dole Act” https://ocw.mit.edu/courses/electrical-engineering-and-computer-science/6-901-inventions-and-patents-fall-2005/projects/bayh_dole.pdf , D. MOWERY, R. NELSON, B. SAMPAT, A. ZIEDONIS, “The growth of patenting and licensing by U.S. universities: an assessment of the effects of the Bayh–Dole act of 1980” https://www.researchgate.net/profile/Arvids-Ziedonis/publication/2399056_The_Effects_of_the_Bayh-Dole_Act_on_US_University_Research_and_Technology_Transfer_An_Analysis_of_Data_from_Columbia_University_the_University_of_California_and_Stanford_University/links/5cded95992851c4eaba97ab8/The-Effects-of-the-Bayh-Dole-Act-on-US-University-Research-and-Technology-Transfer-An-Analysis-of-Data-from-Columbia-University-the-University-of-California-and-Stanford-University.pdf o W. COPAN che sostiene “since its implementation in 1980, the Act has directly contributed to well over $1.3 trillion in U.S. economic growth, more than 4.2 million jobs, and over 11,000 new startup companies from the nation’s universities” in https://www.ipwatchdog.com/2020/11/02/reflections-on-the-impacts-of-the-bayh-dole-act-for-u-s-innovation-on-the-occasion-of-the-40th-anniversary-of-this-landmark-legislation/id=126980/
Di contro la critica alla norma, i cui argomenti sono riassunti efficacemente da M. CIMOLI, G. DOSI, R. MAZZOLENI, B.N. SAMPAT “Innovation, technical change and patents in the development process: a long-term view” in “Intellectual Property Rights. Legal and economic challenge for development” a cura di M. CIMOLI, G. DOSI, K.E. MASKUS, R.L. OKEDIJI, J.H. REICHMAN, J.E. STIGLITZ, 2014, pagg. 75 e ss. assume il Bayh-Dole Act “creates a basis for appropriating basic knowledge, which should, by definition, constitute the knowledge base available to all national innovation system agents (…) thus contributing to the commoditization of research outcomes”. Ed ancora: “The Bayh-Dole Act reversed the previous presumption that free access to basic research outcomes was granted equally to all firms (that profited differently from the available knowledge pool depending on their specific assets and capabilities)”. Nello stesso volume A.D. SO, B.N. SAMPAT, A.K. RAI, R. COOK-DEEGAN, J.H. REICHMAN, R. WEISSMAN, A. KAPCZYNSKI “Is Bayh-Dole good for developing countries. Lessons from the U.S. experience” pagg. 201 e ss.
[56] Si veda per un maggior dettaglio C. GARRISON “How the ‘Oxford’ Covid-19 vaccine became the ‘AstraZeneca’ Covid-19 vaccine” https://medicineslawandpolicy.org/wp-content/uploads/2020/10/How-the-Oxford-Covid-19-Vaccine-became-the-AstraZeneca-Covid-19-Vaccine-Final.pdf
[57] G. DOSI, J.E. STIGLITZ “The role of intellectual property rights in the development process with some lessons from developed countries: an introduction” in “Intellectual Property Rights. Legal and economic challenge for development” a cura di M. CIMOLI, G. DOSI, K.E. MASKUS, R.L. OKEDIJI, J.H. REICHMAN, J.E. STIGLITZ, 2014, pagg. 1 e ss.
[58] M. CIMOLI, G. DOSI, K.H. MASKUS, R.L. OKEDIJI, J.H. REICHMAN, J.E. STIGLITZ “The role of intellectual property rights in developing countries: some conclusions” in M. CIMOLI, G. DOSI, K.E. MASKUS, R.L. OKEDIJI, J.H. REICHMAN, J.E. STIGLITZ, 2014, cit., 503 e ss.
[59] Si veda anche M. MAZZUCATO, G. DOSI “Knowledge accumulation and industry evolution” 2006 e il valore della ricerca orientata in ethical terms. Al riguardo si vedano nel seguito gli approfondimenti in tema di obblighi etici delle case farmaceutiche in epoca di pandemia di cui alla nota 72.
[60] Così B. CORIAT, L. ORSENIGO “IPRs, public health and the pharmaceutical industry: issues in the post-2005 TRIPS agenda” in M. CIMOLI, G. DOSI, K.E. MASKUS, R.L. OKEDIJI, J.H. REICHMAN, J.E. STIGLITZ, 2014, cit., 221.
[61] M. BOLDRIN, D.K. LEVINE “Abolire la proprietà intellettuale”, 2012, in particolare pagg. 191 sull’industria farmaceutica
[62] Ad esempio Section 1.6. del contratto US Army Contracting Command / AstraZeneca pag. 34 di 84 https://www.hhs.gov/sites/default/files/astrazeneca-covid-19-vaccine-trials-contract.pdf
[63] Un esempio recente sono I ritardi occorsi nella produzione del vaccino Novavax in India presso Serum Institute, uno dei più grandi produttori mondiali di vaccini, a causa dei problemi di approvvigionamento di bioreattori e di componenti del vaccino quali gli enzimi https://www.hindustantimes.com/business/shortage-of-raw-material-holding-up-covovax-manufacturing-101623895699052.html . Ma ulteriori problemi hanno interessato fasi della produzione negli Stati Uniti https://www.ft.com/content/b5ba2702-3bad-4f10-9d80-00eb3d48d802
[64] “Peeling paint, unsanitary practices among issues at U.S. plant making J&J COVID-19 vaccine -FDA”, Reuters 22 aprile 2022 https://www.reuters.com/business/healthcare-pharmaceuticals/us-fda-finds-peeling-paint-debris-us-plant-making-jjs-covid-19-vaccine-2021-04-21/ La produzione sembra sia ripresa solo il 29 luglio “Emergent to resume J&J COVID-19 vaccine production at Baltimore plant” https://www.reuters.com/business/healthcare-pharmaceuticals/jj-contractor-plans-resume-covid-19-vaccine-production-baltimore-plant-wsj-2021-07-29/
[65] Si veda la narrativa dell’ordinanza del Tribunale di Bruxelles, in particolare in tema di variabilità della capacità produttiva dei macchinari rispetto a quanto originariamente previsto (quante dosi è possibile ricavare all’esito della lavorazione da una certa quantità di componenti): il provvedimento è accessibile al seguente link https://ec.europa.eu/commission/presscorner/api/files/attachment/869224/Court%20Decision%2018-06-2021.pdf
[66] Nel suo testo integrale, senza omissis, reso pubblico della trasmissione Report https://www.rai.it/dl/doc/2021/02/19/1613725900577_AZ_FIRMATO_REPORT.pdf
[67] Si vedano pagg. 20 e ss. dell’ordinanza.
[68] Come riportato da A. MOORE “COVID vaccines: why waiving patents won’t fix global shortage – scientist explains” https://www.gavi.org/vaccineswork/covid-vaccines-why-waiving-patents-wont-fix-global-shortage-scientist-explains
[69] I processi di produzione e le complessità della supply chain sono dettagliate in C.P. BOWN e T.J. BOLLYKY “How COVID-19 vaccine supply chains emerged in the midst of a pandemic” https://www.piie.com/sites/default/files/documents/wp21-12.pdf Agosto 2021. Degli stessi autori “Here’s how to get billions of COVID-19 vaccine doses to the world” https://www.piie.com/blogs/trade-and-investment-policy-watch/heres-how-get-billions-covid-19-vaccine-doses-world
[70] Si vedano ad esempio le considerazioni di S. LESTER “My Take on the Vaccine/TRIPS Waiver Issue: Buyout Pharma Now, Rebalance the IP System Later, and Meh on the Waiver” https://ielp.worldtradelaw.net/2021/05/my-take-on-the-vaccinetrips-waiver-issue-buyout-pharma-increase-production-and-meh-on-the-waiver.html
[71] Si veda P. UNGPHAKORN “TRIPS Council agrees to continue discussions on IP response to COVID-19” https://www.wto.org/english/news_e/news21_e/trip_20jul21_e.htm e l’aggiornamento https://twitter.com/CoppetainPU/status/1420050050701484036?s=20 . Per un quadro dello sviluppo delle discussioni si veda il thread in aggiornamento periodico su Twitter di Ungphakorn sull’andamento delle negoziazioni https://twitter.com/CoppetainPU/status/1399419463334862855?s=20 e l’articolo dello stesso autore “WTO COVID-19 waiver: does the new draft move the talks forward?” https://tradebetablog.wordpress.com/2021/05/25/wto-waiver-new-draft-move-talks/
[72] E.J. EMANUEL, A. BUCHANAN, S. YING CHAN, C. FABRE, D. HALLIDAY, J. HEATH, L. HERZOG, R.J. LELAND, M.S. MCCOY, O.F. NORHEIM, C. SAENZ, G.O. SCHAEFER, K-C. TAN, PhD C.H. WELLMAN, J. WOLFF, G. PERSAD “What are the obligations of pharmaceutical companies in a global health emergency?” in https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(21)01378-7/fulltext
[73] C.P. BOWN E T.J. BOLLYKY formulano la proposta di un accordo internazionale dettagliandone I possibili contenuti nel contributo già richiamato alla precedente nota 69: “Governments elsewhere may have the input-making companies, but in the absence of policy coordination, they don’t have the public health incentive to provide subsidies to reach the scale needed to satisfy global demand” e quindi “A COVID-19 Vaccine Investment and Trade Agreement (CVITA) is needed to create the incentives to ensure the timely and sizable scaling up of output and input investments to respond to this pandemic and future pandemic threats”. L. ZINGALES in “The Political Lessons of COVID-19” accessibile al link https://www.project-syndicate.org/commentary/covid19-political-lessons-need-for-global-governance-by-luigi-zingales-2021-08 assume che la pandemia abbia evidenziato la necessità di un governo globale delle crisi (oggi la pandemia, domani il cambiamento climatico)