di Leonardo Pietro Cervesato – Dottore in ingegneria gestionale e redattore di Lexacivis
“Ostacoli economici e strutturali”: queste le parole utilizzate dal Futbol Club Barcellona, una delle maggiori squadre del panorama calcistico mondiale, per spiegare l’addio forzato di Lionel Messi dopo ventuno anni con il club catalano, diciassette dei quali trascorsi in prima squadra a collezionare trofei e macinare record.
A ciel sereno, il cinque agosto 2021 arriva il comunicato del club in cui si annuncia che, nonostante le parti avessero trovato un accordo, qualsiasi strada contrattuale avrebbe reso impossibile il rinnovo e quindi inevitabile il divorzio tra Messi ed il Barcellona.
Ma com’è stato possibile che uno dei club più vincenti negli ultimi decenni non abbia potuto trattenere il suo uomo simbolo e di maggior talento? E come è stato possibile ciò, visto e considerato inoltre che lo stesso Lionel Messi, per amore e gratitudine verso il club catalano, si fosse reso disponibile ad una drastica riduzione dello stipendio ed a condizioni contrattuali molto sfavorevoli per uno sportivo professionista del suo calibro, pur di rimanere a Barcellona?
SITUAZIONE FINANZIARIA E SOCIETARIA DEL CLUB
Le cause alla base di questa inverosimile situazione vanno ricercate nella condizione societaria e finanziaria del club catalano. Nell’estate del 2020, Lionel Messi aveva manifestato la volontà di lasciare il Barça, per incomprensioni e divergenze con l’allora presidente Josep Maria Bartomeu: la successiva campagna elettorale, che ha visto trionfare Joan Laporta, aveva fatto ricredere l’asso argentino che si era mostrato poi deciso a continuare con la squadra della sua vita. Indipendentemente dal nuovo e migliore rapporto tra Messi ed i vertici del club, è evidente come una poco tranquilla situazione societaria, caratterizzata anche da elezioni e dunque da conseguenti (ed onerose) promesse ed iniziative elettorali, abbia solo peggiorato il quadro e nel tempo fatto emergere il vero problema della Barcellona calcistica: l’enorme debito ed in generale una situazione finanziaria disastrosa. Attualmente, il club catalano ha debiti totali per oltre un miliardo di euro (precisamente 1.173 milioni), oltre alla necessità di dover fronteggiare un forte calo del fatturato, con previsioni tutt’altro che promettenti. Lo stesso presidente Laporta, tra le prime mosse, aveva promosso un rifinanziamento di oltre 500 milioni di euro per garantire liquidità al club: misura, seppur drastica, non sufficiente a combattere la situazione e a risanare le casse in profondo rosso. La società blaugrana, infatti, è stata uno dei club più colpiti dalla crisi dettata dalla pandemia, registrando perdite per circa 487 milioni di euro per l’esercizio 2020/21, più del doppio di quanto era stato previsto. Nella stagione 2019/20, invece, i ricavi sono calati del 14% rispetto all’anno precedente (inferiori del 18% rispetto a quanto previsto), con perdite complessive di 97 milioni di euro.
GOVERNANCE DEL CALCIO SPAGNOLO: LIMITI E VINCOLI IMPOSTI DALLA LIGA
Se la proibitiva situazione economica del Barcellona, ed in generale del calcio mondiale, inevitabilmente non aprisse ad onerose operazioni finanziarie, ad inchiodare definitivamente il club catalano nell’affare Messi sono state le leggi ed i vincoli entro i quali, per regolamento, il club deve agire.
La LFP (La Liga Nacional de Fútbol Profesional), il massimo organo di regolazione del calcio spagnolo comunemente conosciuto come “LaLiga”, ha ormai da alcuni anni introdotto un tetto salariale per le squadre di prima e seconda divisione spagnola. Ogni club, di anno in anno, deve proporre e giustificare un “limite di costo della rosa sportiva” (limite de coste de plantilla deportiva), nel rispetto del budget a disposizione, e sottoporlo poi all’approvazione dell’autorità di convalida della Liga spagnola, che può anche richiedere di rettificare la cifra se non ritenuta adeguata, fino ad ottenere quell’importo che, sempre secondo l’autorità competente, garantisca la stabilità finanziaria del club.
Ogni squadra, quindi, ha un valore limite di monte ingaggi, ovvero una cifra massima che può spendere, in quell’esercizio, per pagare gli stipendi dei propri dipendenti (giocatori, staff e settore giovanile). Questa cifra viene calcolata sulla base di diversi parametri tra cui, come si evince dal regolamento della Liga, le retribuzioni salariali (fisse o variabili), le retribuzioni per cessioni dei diritti d’immagine (collettivi o individuali), gli ammortamenti dei costi di acquisizione dei calciatori, i costi (non solo retributivi) di giocatori ceduti in prestito (quindi a titolo temporaneo), gli indennizzi di trattamento di fine rapporto.
Ad oggi il Barcellona può spendere al massimo 383 milioni di euro in stipendi, il 41,7 percento in meno dei 657 dello scorso anno. È importante puntualizzare che questo taglio netto impedisce, in modo indiscusso, la firma di un nuovo contratto del peso di quello di Messi: se ci fosse stata la possibilità invece di un rinnovo del contratto (quindi di un prolungamento di un contratto ancora in essere), il Barcellona avrebbe potuto trattenere l’asso argentino e poi cercare di abbassare i costi generali con altre cessioni. Il vero limite in questo senso, quindi, è stato il fatto che il contratto di Messi fosse già scaduto (a giugno) e che quindi, per assicurarsi nuovamente le sue prestazioni sportive, ci fosse bisogno della firma di un nuovo contratto, il cui peso avrebbe sicuramente reso impossibile rispettare, o per lo meno avvicinare, il limite imposto dalla Liga.
Considerando che la società già oggi, senza Messi, sfora il tetto salariale, e che non ha alleggerito il monte ingaggi con altre cessioni (ma solo con la riduzione dello stipendio di alcuni giocatori), anche con la riduzione del precedente contratto extra-lusso di Messi (che da solo avrebbe rappresentato un settimo dell’intera disponibilità), il nuovo contratto non sarebbe stato possibile. Messi, che fino alla scorsa stagione percepiva uno stipendio netto di 71 milioni di euro l’anno (circa 139 lordi), secondo le ricostruzioni si era reso disponile ad un forte abbassamento del proprio compenso pur di vestire i colori blaugrana. A titolo esplicativo, esprimendo il tetto massimo fissato dalla Liga come rapporto tra ingaggi ed entrate, per il Barcellona questo limite era circa del 70 percento: con Messi ingaggiato a 139 milioni lordi annui, questo rapporto avrebbe raggiunto quota 115 percento. Se l’asso argentino avesse invece rinnovato, ad esempio, per la metà di quanto percepito fino all’anno scorso, il rapporto ingaggi/entrate si sarebbe sì abbassato, ma comunque non in misura sufficiente a rendere sostenibile la situazione finanziaria del club.
Pur essendo cifre folli se paragonate al reddito medio di un cittadino europeo, occorre specificare che sono del tutto coerenti se confrontate con l’intero quadro calcistico, a livello mondiale, degli ultimi anni.
Ma perché allora Messi, visto e considerato il suo passato al Barcellona ed il legame con i tifosi e la città, non ha accettato un contratto minimo, o comunque abbastanza basso da garantire la sostenibilità finanziaria del club, pur di rimanere a Barcellona?
Innanzitutto, anche considerando il valore creato dal giocatore, sia in termini tecnici sia di immagine, un ingaggio di molto inferiore sarebbe contradditorio per uno sportivo del suo calibro. Ma al netto di ciò, visto anche che, secondo le ricostruzioni e dato il patrimonio del giocatore, Messi sembra non abbia dato molto peso in questa vicenda alla cifra del suo rinnovo, la risposta è unica e semplice: un nuovo contratto a cifre molto basse sarebbe stato illegale. Secondo le leggi spagnole, infatti, qualsiasi rinnovo di contratto (o nuovo contratto) deve prevedere una cifra, in termini di stipendio, non inferiore al 50 percento rispetto alla cifra inserita nel precedente contratto. Anche volendo, quindi, La Pulce non avrebbe potuto continuare la sua esperienza a Barcellona pur, per assurdo, azzerandosi lo stipendio.
È STATO IL BARCELLONA A PERDERE MESSI?
A peggiorare una situazione già critica, per la stagione 2021/22 la Liga ha deciso di rendere i vincoli ancor più stringenti per le società che nella passata stagione hanno superato il limite imposto: tra queste, oltre allo stesso Barcellona, anche Real Madrid ed Atletico Madrid. Una amara previsione che impone al Barcellona delle riflessioni in ottica di calciomercato ed in generale di gestione finanziaria e tecnica del club. Se la pandemia, infatti, ha colpito duramente gran parte dell’economia mondiale, e alcune organizzazioni ne hanno risentito più di altre, il Barcellona deve fare i conti con un quadro societario complessivo già latentemente a rischio negli ultimi anni, e con scelte strategiche e di programmazione poi rivelatesi fallimentari e tragiche.
Innanzitutto, c’è la questione tecnica. Il Barcellona ha ufficializzato arrivi di nuovi giocatori come Aguero e Depay che, se pur tesserati a parametro zero (costo zero), presentano esborsi importanti in termini di ingaggi. Inoltre, il club blaugrana annovera nella sua rosa molti giocatori, frutto di grandi investimenti e costi, come Umtiti, Coutinho, Pjanić, utilizzati come riserve e quindi non sfruttati in termini di valore creato per il club.
Poi, c’è la questione strettamente legata a Lionel Messi: non si tratta neppure di un vero trasferimento, dato che l’argentino era svincolato (senza contratto) ormai da mesi. Il Paris Saint-Germain ha infatti potuto tesserarlo a costo zero, ed il Barcellona ha lasciato andare a scadenza uno dei giocatori più forti e famosi di sempre, senza ricavare nulla dalla sua cessione. Il Barcellona sapeva che il contratto di Messi sarebbe arrivato a scadenza; il club catalano, quindi, ha accettato (o dovuto accettare) che le trattative per il rinnovo si prolungassero, senza trovare una soluzione.
Questo epilogo è, in ultima analisi, la conseguenza, oltre che di eventi non prevedibili o efficacemente contrastabili come quello della pandemia, di un mismanagement societario, sia sportivo che in generale strategico: una condotta imprenditoriale inadeguata, con poca visione di medio-lungo periodo e fatta di scelte non sostenibili, contratti impegnativi e costosi non giustificati dal punto di vista sportivo e di risultati. Nell’epoca del financial fair play e della sostenibilità finanziaria del calcio, del player empowerment e di una competitività sempre più accesa, sia per quanto riguarda i capitali sia dal punto di vista tecnico, un’inadeguata gestione a livello sportivo e societario porta inevitabilmente con sé conseguenze disastrose.