USA, RUSSIA, CINA: UNA POLTRONA PER TRE IN AFGHANISTAN

di Filippo Carpenedo – Studente di Cultura umanistica e divulgazione e redattore di Lexacivis.

Le conseguenze di ciò che sta andando in atto in Afghanistan saranno notevoli a livello geopolitico ed è ormai evidente che la comunità internazionale non possa limitarsi a mettere in salvo i collaboratori e a preoccuparsi di contenere i flussi migratori. La posta in gioco è alta e lo sguardo degli attori di questa triste pagina di storia afghana dovrà inevitabilmente andare all’incertezza che regnerà sovrana nei prossimi anni.

Le potenze occidentali, in particolare l’Europa, si dicono preoccupate soprattutto per il rispetto dei diritti umani in Afghanistan. E mentre Johnson propone di allargare il G7 straordinario a Russia e Cina, l’Alto Rappresentante dell’UE mette in guarda l’Unione ed esprime la sua preoccupazione per il futuro: “Non possiamo lasciare che Cina e Russia prendano il controllo della situazione” preferendo un’alleanza con i Paesi che condividono i valori europei, vale a dire Usa e Regno Unito.

In effetti, la Cina ha già riconosciuto i talebani e la Russia non aspetterà molto a farlo, cambiando l’equilibrio geopolitico dei poteri, non solo nell’Asia Centrale, ma anche a livello internazionale. La portavoce del ministro degli Esteri cinese Hua Chunying ha riconosciuto la legittimità dei talebani perché “più sobri e razionali” rispetto a quando furono al potere tra il 1996 e il 2001. “Hanno pubblicamente affermato la volontà di risolvere i problemi affrontati dalla gente, soddisfare i desideri della gente, impegnandosi a costruire un inclusivo governo islamico. La comunità internazionale dovrebbe incoraggiare e sostenere congiuntamente l’unità e la cooperazione di tutte le parti e i gruppi etnici, e aprire un nuovo capitolo nella storia afghana” ha continuato la Chunving.

Di fatto, Russia e Cina hanno tutti gli interessi a trattare con i talebani: in questo modo possono estendere la loro sfera di influenza nel centro Asia e mettere le mani nelle miniere di litio afgane (che valgono circa un trilione di dollari). Il sottosuolo afgano, infatti, è ricco di moltissimi minerali non sfruttati: oro, rame, uranio e soprattutto litio, utilizzatissimo per le batterie, per i cellulari, i televisori e nell’industria militare. Ma anche i talebani potrebbero guadagnare dall’appoggio di Mosca e Pechino: ciò scongiurerebbe un ipotetico isolamento qualora la Comunità Internazionale (e Stati Uniti in primis) dovesse decidere di imporre sanzioni internazionali contro il neonato governo talebano.

Quanto sta succedendo a Kabul è ricaduto seriamente sui paesi limitrofi, con reazioni eterogenee e diversificate. In Iraq, c’è una netta divisione tra gli iracheni per quanto riguarda l’interpretazione di quanto sta accadendo in Afghanistan dato che il governo iracheno non ha ancora preso una posizione netta. C’è chi considera il ritiro delle truppe americane una mossa politica volta a mettere in difficoltà Russia e Iran d’accordo con i talebani, teoria ai limiti del becero complottismo. C’è chi la considera una sconfitta politica e militare americana e chi teme che la situazione avrà dei riflessi in Iraq. Ma la maggior parte degli iracheni guarda con terrore e paura le immagini della grande fuga e del caos all’aeroporto di Kabul, con una sola domanda in testa: “Accadrà questo anche a noi?”.

Diversa è la reazione in Iran (che condivide con l’Afghanistan più di 900 km di confine) il quale ha accolto in modo eterogeneo la vittoria dei Talebani, generando anche parziali cambiamenti di prospettiva sul piano interno, tanto che il neopresidente Ebrahim Raeisi ha dipinto l’arrivo dei talebani come un’ occasione per “lavorare nuovamente ad una pace duratura”. Le relazioni tra l’Iran e i talebani sono sempre state altalenanti e viziate da una forte diffidenza: il problema dei taliban i rimane legato alle loro eventuali pretese internazionali e alla possibilità che diano rifugio ai movimenti jihadisti dell’area, tanto in Iran, quanto nelle ex repubbliche sovietiche, così come nello Xinjang (è la stessa paura di Russia, India e Cina). Mosca e Pechino trattengono a fatica il compiacimento per il fallimento politico e militare a stelle e strisce seppur preoccupate di una nuova fonte di instabilità vicino ai loro confini.

È una situazione geopolitica del tutto inedita e molto complessa, che potrebbe minare anche i rapporti tra UE e USA. Come si legge in un articolo dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) “l’incognita del nuovo Emirato islamico grava sulle frontiere europee, con il suo possibile carico di profughi, insicurezza e terrorismo, mentre Washington persegue il suo calcolo politico interno, in un solco apparentemente indistinguibile da quello dell’isolazionismo trumpiano. E di questo l’Europa dovrà tenerne conto”.

È chiaro che il ritiro degli Usa dall’Afghanistan testimonia una linea di continuità nella politica estera statunitense, partita con Obama, inneggiata da Trump e continuata da Biden, di stampo isolazionista. Linea che sta lasciando il panorama geopolitico ad altre grandi potenze mondiali, Cina e Russia su tutte. Biden pagherà evidentemente un costo politico di questa scelta, sia internamente sia esternamente, ma la vera domanda è: a favore di chi o di che ideologia?

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