di Carolina Mariuzzo – Praticante avvocato
Il presente contributo si propone di analizzare la procedura di recupero credito così come prevista e disciplinata dal Codice di Procedura Civile. L’obiettivo è quello di dimostrare quanto, in Italia, sia oneroso recuperare un credito da parte di chi ne abbia diritto.
Nel farlo, ci si avvale di un esempio pratico.
Poniamo il caso che Tizio, piccolo imprenditore, maturi un credito con un cliente cui fornisce una prestazione per euro 7.000,00. Il termine di pagamento pattuito è il 20 gennaio 2021. Il cliente, tuttavia, non adempie alla prestazione nei termini. Dopo un mese di mail e solleciti, Tizio decide di intraprendere l’attività di recupero credito in via giudiziale.
La prima domanda da porsi sarà: conviene?
Può sembrare strano, ma non sempre colui che vanta un diritto di credito potrà ottenere quanto gli spetta.
Come prima cosa ci si dovrà infatti chiedere se il debitore sia solvibile, se, cioè, abbia risorse sufficienti per pagare il debito. In caso contrario, qualsiasi azione potrebbe rivelarsi dispendiosa ed inutile.
A chi rivolgersi? Anzitutto, per recuperare il credito Tizio si dovrà rivolgere ad un Avvocato[1], la cui parcella si aggiungerà al debito iniziale.
L’Avvocato, per prima cosa, farà recapitare al debitore una lettera di sollecito formale che avrà la funzione, da un lato, di interrompere la prescrizione e, dall’altro, di mettere in mora il debitore.
In genere, la lettera contiene un’intimazione ad adempiere entro un termine (ad esempio: “Qualora il pagamento della somma non avvenga entro 15 giorni dal ricevimento della presente, ci si riserva di adire le vie legali”).
Trascorsi i 15 giorni, però, il debitore continua a non pagare.
A questo punto, inizia la procedura giudiziale vera e propria che richiede, quale primo passo, l’ottenimento di un titolo esecutivo.
Il ricorso per decreto ingiuntivo
La procedura più semplice e frequentemente utilizzata consiste nel depositare un ricorso per decreto ingiuntivo al Tribunale competente (artt. 633 ss. c.p.c.). Trattasi di una procedura rapida e senza contraddittorio (inaudita altera parte), che tuttavia richiederà un notevole impegno al debitore.
Tizio, infatti, si dovrà procurare una serie di documenti per provare il proprio credito, tra cui, a titolo esemplificativo: il contratto, la corrispondenza intercorsa con il cliente, le fatture, il partitario IVA, il mastrino e così via. Questa attività può richiedere un notevole dispendio di tempo ed energie.
Inoltre, molto spesso – a seconda delle prassi vigenti nei Tribunali – è necessario autenticare le scritture contabili: in tal caso Tizio dovrà contattare un notaio ed anticipare i relativi oneri.
Una volta raccolta tutta la documentazione, l’Avvocato sarà pronto per depositare il ricorso presso la cancelleria del Giudice competente.
La valutazione del giudice
Ricevuta l’istanza di Tizio, il Giudice valuterà la sua fondatezza.
Se riterrà che il credito di Tizio sia certo, liquido, esigibile e fondato su prova scritta, emetterà il decreto ingiuntivo che consiste, di fatto, in un ordine di pagamento[2].
Una volta ottenuto il decreto, l’Avvocato di Tizio notificherà il decreto ingiuntivo al debitore, il quale avrà 40 giorni di tempo per opporsi al decreto ed instaurare una vera e propria causa.
Decorso il termine senza opposizione, l’Avvocato di Tizio dovrà richiedere la dichiarazione di esecutorietà (art. 647 c.p.c.) nonché l’apposizione della c.d. formula esecutiva producendo copia del decreto notificato. Ottenuta la formula esecutiva, sarà necessario notificare al debitore il c.d. precetto, ovverosia una intimazione a pagare entro 10 giorni.
Da questo momento, in caso di mancato pagamento nel termine anzidetto, Tizio avrà 90 giorni per procedere con l’azione esecutiva, iniziando con il pignoramento vero e proprio.
Molto spesso, però, accade che il debitore, consapevole che il suo creditore si è attivato per ottenere quanto gli spetta, ponga in essere attività volte ad impedirlo. Un esempio pratico: svuota i conti correnti.
Così, il pignoramento avrà il cosiddetto esito negativo e Tizio continuerà ad aspettare.
Senza dimenticare una prospettiva ancora peggiore: il fallimento del debitore.
… ma si pensi ad un epilogo più ottimista: Tizio notifica il decreto ingiuntivo e il debitore, immediatamente, paga. Quanto tempo è trascorso dalla richiesta, o, peggio ancora, dal termine di pagamento concordato?
Tale dato non va trascurato, soprattutto perché, per chi fa impresa, il tempo è denaro.
A tal proposito, si potrebbe pensare che siano previsti tassi di interesse altissimi per evitare pratiche dilatorie: tuttavia, i tassi di interesse applicabili in questi casi, c.d. interessi moratori, sono irrisori (pari circa all’8%). A fronte di tale dato, in una prospettiva meramente economica, chiunque preferirà pagare dopo mesi o anni, posto che non pagherà molto di più!
Ebbene, alla luce di questa rapida disamina del procedimento monitorio, corre l’obbligo di fare una considerazione: la procedura di recupero credito è volta alla tutela del debitore, ma il creditore?
A chi giova un procedimento così lungo e farraginoso? Certo non a chi ha ragione.
Risulta pertanto evidente come i procedimenti esecutivi, così come attualmente previsti, risultano spesso insufficienti ed inidonei a garantire la certezza del diritto e delle transazioni commerciali. Urge dunque una riforma volta a rendere le procedure più snelle e rapide, così da dare maggiori tutele a chi vanta un diritto di credito certo.
Diversamente, in queste situazioni, si potrebbe concludere con le parole di un libro di Piercamilo Davigo: “In Italia violare la legge conviene!”.
[1] necessario per tutte le cause aventi un valore superiore a € 1.100 ex art. 82 c.p.c..
[2] le tempistiche per ottenere un decreto ingiuntivo variano a seconda del Tribunale adito: in media, si va dai 10 ai 100 giorni di attesa.