Questo 8 marzo cade in mezzo a mille altri avvenimenti, che riempiono i notiziari e titolano i giornali. La pandemia non ha fatto in tempo a finire, che scoppia una guerra proprio ai confini dell’Europa, vicino a noi, e rischia di trascinarci in un turbine di proiettili e sangue.
Siamo entrati in una nuova emergenza e, come per ogni emergenza, non c’è spazio per le sottigliezze: non c’è tempo per le smancerie, non c’è tempo per la tenerezza, non c’è tempo per l’umanità. C’è bisogno di uomini, forti e decisi. Le donne, che rimangano nelle retrovie.
Si tratta ovviamente di una caricatura: di umanità in questi ultimi giorni ne abbiamo vista tanta, stava impacchettata negli scatoloni insieme al cibo e ai pannolini diretti ai confini dell’Ucraina, era appesa agli striscioni delle manifestazioni per la pace.
Tuttavia, come abbiamo visto durante i mesi più duri di Covid-19, è proprio nei momenti d’emergenza che si tende a retrocedere in fatto di parità tra uomo e donna. Nei periodi di crisi, quello che nella nostra società viene associato con “il femminile” viene messo in secondo piano, in nome di una maggiore efficacia di gestione.
Il nostro augurio per questa Giornata internazionale dei diritti della donna è che ciò che ancora identifichiamo con “femminile” cominci davvero ad appartenere alla categoria dell’essere umano e smetta di essere declassato a qualcosa d’importanza secondaria; per questo vogliamo ricordare, come in un atto di esistenza-resistenza:
- Le donne dissidenti, incarcerate per le loro idee
- Le donne ucraine che lavorano in Italia e sono lontane dalle loro famiglie
- Le donne che fanno ritorno nel loro paese, per stare vicine ai propri cari
- Le donne che scappano con i loro bambini
- Le donne che partoriscono in un bunker, sotto le bombe
- Le donne che vedono i propri figli morire
- Le donne che hanno figli, fratelli, amanti che prendono le armi
- Le donne che aiutano
- Le donne che combattono
A loro e a tutte le altre: buon 8 marzo!