di Gloria Vindigni – Dottoressa in Giurisprudenza e redattrice di Lexacivis
Lo scorso 1 aprile con il Decreto legge n. 44, recante le “Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici”, il Governo ha introdotto il cosiddetto scudo penale, ovvero ha escluso la responsabilità penale per il personale medico sanitario che somministra il vaccino anti SARS-CoV-2. Tale scudo si applica sia per le lesioni personali colpose che per i delitti di omicidio colposo commessi durante il periodo emergenziale a seguito delle vaccinazioni che rispettano le disposizioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio del vaccino e le circolari disponibili sul sito del Ministero della salute.
La misura, introdotta dall’articolo 3 del già citato decreto, prevede che i medici/infermieri che abbiano somministrato il vaccino, seguendo le disposizioni previste, non siano indagati per omicidio colposo o lesioni colpose, reati previsti dagli articoli 589 e 590 del codice penale e per i quali, a seconda dei casi, è prevista la pena della reclusione.
Lo scudo penale, così come introdotto dal Legislatore, ha fin da subito posto qualche interrogativo circa la sua reale utilità. Difatti, secondo alcuni, quanto previsto sembra essere uno “scudo psicologico” piuttosto che una tutela giuridica per chi agisce in questo periodo di piena emergenza sanitaria.
Dal punto di vista giuridico, già in passato la giurisprudenza si era espressa affermando che nessuno può essere chiamato in giudizio “per comportamenti che solo fortuitamente producano conseguenze penalmente vietate” senza la “benché sua minima colpa”; principio ulteriormente ribadito dalla legge Gelli – Bianco del 2017.
In linea con questo orientamento vi è anche chi sostiene che lo scudo penale non sia necessario e che per tutelarsi sia sufficiente seguire i protocolli elaborati dalle case farmaceutiche.
Alla base di questo orientamento vi è un principio cardine del nostro sistema penale: quello dell’obbligatorietà dell’azione penale, sancito dall’articolo 112 della Costituzione. Facendo un esempio pratico per chiarire il concetto: nel caso in cui una persona vaccinata muoia e, quindi, ossia penalmente parlando si verifichi l’evento, il magistrato sarà obbligato ad avviare le indagini per individuare le cause della morte.
Al contrario, vi è chi sostiene che le tutele delle due norme in esame siano differenti e quindi anche lo scudo penale è necessario: il decreto offre una tutela più ampia rispetto alla legge Gelli – Bianco in quanto il consenso di chi si sottopone alla vaccinazione è sufficiente a rendere l’atto lecito senza che vi sia una valutazione da parte degli operatori dell’adeguatezza delle regole in relazione ai casi concreti come avviene con la legge Gelli – Bianco. Questa differenza è dettata dall’esigenza di vaccinare le persone con rapidità.
Un ulteriore punto di questo secondo orientamento è l’obiettivo di garantire la certezza del diritto.
I diretti interessati dal canto loro si dichiarano poco tutelati sia dalla legge del 2017 sia dalle disposizioni dettate dal decreto Draghi e vorrebbero che il Legislatore intervenisse ulteriormente.
Nello specifico i sanitari vorrebbero essere maggiormente tutelati dal punto di vista processuale qualora venissero iscritti nel registro degli indagati per la morte o le lesioni causate ad un paziente; ma tale obiettivo non può essere raggiunto con l’applicazione delle norme ad oggi vigenti. Tuttavia, il Legislatore, una volta convertito il Decreto legge, potrebbe limitatamente a questo periodo d’emergenza prospettare una soluzione che possa poi essere estesa a tutti i casi di indagini e accertamenti sulla colpa medica.
La soluzione prospettata da alcuni giuristi è quella di introdurre (attraverso un apposito articolo), durante la fase iniziale del procedimento e nel corso degli accertamenti tecnici irripetibili, un consulente tecnico (scelto tra gli iscritti negli elenchi forniti dall’Ordine dei medici) che tuteli e rappresenti insieme all’avvocato difensore i medici durante lo svolgimento degli accertamenti tecnici irripetibili senza che i sanitari vengano iscritti nel registro degli indagati.
Se tale ipotesi si concretizzasse, il pubblico ministero che dispone lo svolgimento di accertamenti tecnici irripetibili ai sensi dell’articolo 360 del codice di procedura penale avrebbe la facoltà di ritardare l’iscrizione dei responsabili nel registro degli indagati al fine di nominare un consulente tecnico che tuteli l’interesse collettivo.
Tale tutela dovrebbe essere un’azione ulteriore rispetto alle difese individuali e non un’alternativa garantendo così ai diretti interessati, tempestivamente avvisati, la possibilità di poter nominare un proprio consulente tecnico ed un difensore che partecipino a questa fase.
Qualora il pubblico ministero acconsentisse o negasse tale possibilità dovrebbe farlo seguendo gli stessi criteri previsti per l’iscrizione nel registro degli indagati; in caso di diniego i risultati non sarebbero utilizzabili nei confronti dei potenziali responsabili, prima esclusi poi iscritti nel registro.
Gli effetti di questa soluzione sarebbero positivi sia per i sanitari sia per il magistrato chiamato a precedere; da un lato, infatti, i medici collettivamente tutelati dal consulente tecnico sarebbero liberati dall’onere, non solo giuridico, di nominarne uno di parte.
Dall’altro, il magistrato avendo la facoltà di ritardare l’iscrizione nel registro degli indagati agirebbe in maniera più oculata limitando gli eventuali danni causati da una frettolosa iscrizione nel registro degli indagati.
In tal modo si permetterebbe alle strutture sanitarie e agli operatori sanitari di creare un fondo, in nome di quell’interesse collettivo, che consenta di retribuire i consulenti chiamati in caso si instauri un procedimento penale.
Al di là della disamina e delle possibili soluzioni elaborate dalla dottrina, occorre fare cenno all’emendamento approvato dal Senato durante la discussione della conversione in legge del Decreto 1 aprile 2021 n. 44, lo scorso 13 maggio, grazie al quale si limita la responsabilità penale ai soli casi di colpa grave ai sensi dell’articolo 590-sexsies del codice penale per gli eventi avvenuti durante la fase dell’emergenza Covid.
Certamente tale modifica viene valutata positivamente dai diretti interessati (e non solo) che considerano l’emendamento un passo avanti, non solo per quanto riguarda i vaccini, ma anche per l’intera situazione d’emergenza.
A seguito di questa novità, il giudice nel valutare il grado della colpa dovrà tenere conto di diversi fattori che possono escludere la gravità: la limitatezza delle informazioni scientifiche, la carenza di risorse umane e materiali rispetto al numero di casi da trattare, nonché le poche conoscenze possedute dal personale non specializzato durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Lo scudo penale dunque è una misura adottata in un contesto straordinario, in continua evoluzione caratterizzato da emergenza e rapidità per il quale è necessario individuare in maniera chiara e definitiva i riferimenti normativi.