di Leonardo Pietro Cervesato – Dottore in Ingegneria Gestionale e redattore di Lexacivis
Nella storia moderna molte aziende hanno chiesto ed ottenuto la possibilità di proteggere, sotto forma di marchi e brevetti, i più svariati ed inusuali elementi dei propri prodotti. La pratica del brevetto, infatti, è stata ormai da molti anni largamente adottata ad ogni livello dell’economia, dalle multinazionali alle piccole e medie imprese, che ritengono i propri segni distintivi meritevoli di tutela. Con lo sviluppo in continuo aumento di tecnologie e prodotti, unito alla sempre più agguerrita concorrenza in molti settori industriali, spesso ci si spinge ai limiti del brevettabile, da una parte interrogandosi sui principi di base della materia brevettuale, e dall’altra studiando come fare a dimostrare, rappresentare e tutelare le più strane forme di proprietà intellettuale.
La proprietà intellettuale, in Italia, si divide in due categorie: la proprietà industriale e la proprietà intellettuale in senso stretto, ovvero il diritto d’autore e connessi.
La proprietà industriale, a sua volta, si sviluppa in molte discipline: in questo contesto troviamo i più noti e affermati elementi riconducibili alla tutela della proprietà intellettuale. Dalle invenzioni, intese come soluzioni innovative a problemi tecnici, alle indicazioni geografiche e denominazioni di origine, ad esempio il DOC ed il DOCG, alle topografie dei prodotti a semiconduttori (microchip), alle nuove varietà vegetali (innesti ed incroci), fino ad arrivare ai marchi.
I MARCHI
I marchi sono i segni che contraddistinguono un prodotto o servizio di un imprenditore da quello di un altro. Con “segni” il legislatore intende una vasta gamma di elementi, che vanno dai nomi di persona, alle forme di un prodotto, alle tonalità e combinazioni cromatiche, ai disegni, parole, lettere, fino ai suoni e agli odori. I marchi, per essere giudicati tali e quindi essere registrati, devono rispettare alcuni requisiti, da spiegare e dimostrare nella domanda di brevetto. Questi principi sono la novità (rispetto all’esistente, brevettato o non), la capacità distintiva e la leicità (non devono quindi essere contrari alla legge o al buon costume).
La difficoltà nel registrare marchi “inusuali” sta appunto nel dimostrare che il segno in questione rispetti i requisiti: se farlo può essere semplice nel caso, ad esempio, di forme e nomi, meno lo è se si tratta di suoni o odori. Alcune aziende, anche molto note, ci sono però riuscite.
La leggendaria Harley Davidson, leader tra le case motociclistiche da più di un secolo, a fine anni Novanta ha ottenuto il brevetto per il suono prodotto dalla propria moto: un rumore che, oltre ad essere tra i più famosi al mondo per gli appassionati, è anche tutelato quindi come marchio.
Anche l’azienda Metro Goldwyn Mayer (meglio conosciuta come MGM), storica compagnia privata di cine produzione statunitense, ha deciso di brevettare il suono del proprio simbolo: il leone. Come per il rombo della Harley Davidson, anche il ruggito dello storico leone è protetto dal diritto d’autore.
Nel giugno del 2018, nei banchi della giustizia europea, l’azienda olandese Van Haren, specializzata in commercializzazione di scarpe, è stata condannata per contraffazione nei confronti delle scarpe con tacco dello stilista francese Christian Louboutin. Oggetto della disputa: il colore della suola delle esclusive calzature. Lo stilista, infatti, è titolare di un brevetto che impedisce a chiunque l’utilizzo di quella specifica tonalità di rosso per la classe merceologica in cui rientrano le scarpe con il tacco.
Un’impresa statunitense che produce e commercializza ukulele si è invece lanciata nella sfida, poi vinta, di farsi riconoscere come proprietà intellettuale lo specifico profumo dei loro prodotti. L’azienda, infatti, è riuscita nel 2014 a registrare con successo l’odore di piña colada applicato ai suoi ukulele come marchio d’impresa. Sempre per quanto riguarda i segni olfattivi, un’altra azienda americana ha registrato l’odore del “muschio fiorito” per profumare gli ambienti dei suoi negozi di Boston e Chicago.
Quella della registrazione dell’odore come marchio d’impresa è una pratica in parte accettata negli USA. Nonostante sia necessario fornire molte prove, gli esaminatori hanno sovente accolto in modo pacifico alcune domande di registrazione, ma solo quando il titolare dimostrava che un profumo o una fragranza avessero acquisito, in seguito all’uso, il loro carattere distintivo. In Europa, invece, è molto più complesso ottenere marchi olfattivi: secondo la nostra giurisdizione in materia è possibile presentare domanda per un marchio solo se questo è rappresentabile graficamente e le difficoltà nel mostrare, in due dimensioni, un carattere olfattivo limita ovviamente molto la sua brevettabilità.
I SEGRETI COMMERCIALI E LA FORMULA DELLA COCACOLA
All’interno della proprietà industriale, inoltre, si collocano anche i segreti commerciali, che, come know-how aziendale, possono costituire un enorme asset per un’impresa, al pari e anche di più di un brevetto.
Ne è un celebre esempio la formula della coca-cola. Inventata nel maggio del 1886 da John Stith Pemberton, un farmacista di Atlanta, non è mai stata brevettata bensì custodita e protetta come semplice e potente segreto commerciale. Se fosse stata brevettata, avrebbe goduto della tutela fornita dal brevetto per soli vent’anni (come da legge in materia brevettuale), dopodiché chiunque avrebbe potuto copiarla per farne un prodotto da commercializzare. Il segreto commerciale, invece, ha offerto alla multinazionale la possibilità di un’esclusiva assoluta sulla formula, e quindi un commercio incontrastato della bevanda.
Il legislatore, infatti, tutela ogni tipo di segreto commerciale da tentativi illeciti di sottrazione al legittimo proprietario: se però, per qualsiasi motivo, il segreto viene violato con mezzi leciti (ad esempio fuga di informazioni, conferenze o dichiarazioni pubbliche), la tutela non viene più garantita e l’imitazione non è più considerata un atto illecito.
Il segreto commerciale, quindi, è un’arma a doppio taglio: la possibilità di poter usufruire in modo esclusivo dell’invenzione dipende dalla bravura dell’azienda, o di chiunque ne sia in possesso, di mantenerne il segreto.
QUALI BREVETTI PER QUALI PRODOTTI
La decisione di un’azienda, dunque, di presentare domanda di brevetto per tutelare la propria idea implica molteplici ragionamenti, interni ed esterni all’organizzazione.
Da una parte, l’idea, invenzione, segno o innovazione deve rispettare alcuni imprescindibili requisiti, da dimostrare e spiegare nel dettaglio. Questo implica il ricorso a consulenti esterni, come intermediari che sappiano formulare correttamente una richiesta di brevetto ed esperti del settore specifico a cui appartiene il prodotto per valutarne l’effettiva coerenza con i principi della proprietà intellettuale.
Dall’altra, l’impresa deve valutare la decisione anche sotto forma di investimento: i costi per il mantenimento di un brevetto sono considerevoli, e aumentano all’aumentare delle zone geografiche in cui si decide di proteggere l’invenzione.
Un’altra considerazione importante riguarda il tipo di tutela che si vuole richiedere per il proprio prodotto. I vantaggi del brevetto sono l’assoluta segretezza garantita dalla legge, ma per un limite temporale ben delineato, scaduto il quale l’invenzione è accessibile a chiunque. I segreti commerciali, invece, come nel caso della formula della Coca-cola, possono restare segreti per secoli garantendo al proprietario un uso esclusivo per molto più tempo rispetto a quello garantito dal brevetto: questo, però, fin tanto che l’azienda riesce nel suo intento di mantenere segreta l’invenzione.
Questa decisione dipende dal tipo di elemento innovativo che si vuole proteggere. Nel caso di prodotti meccanici e modulari potenzialmente soggetti a reverse-engineering, ovvero “smontabili”, “esaminabili” e facilmente imitabili, come per un mobile o un’auto, o di elementi fisici ed estetici, come i marchi, la scelta obbligata ricade sul brevetto: chiunque, alla scadenza della tutela, potrà copiarne il carattere innovativo, ma fino a quel momento l’inventore sarà tutelato da imitazioni anche se l’invenzione è facilmente analizzabile e replicabile. Ragionamento diverso invece deve essere fatto per le innovazioni che facilmente possono essere mantenute segrete, come una ricetta o un processo interno: in questo caso la maggior parte delle volte le aziende scelgono il segreto commerciale, duraturo se ben mantenuto e custodito.
La disciplina della proprietà intellettuale, nata con obiettivi di tutela e incentivo all’innovazione industriale e quindi collettiva, si è rivelata spesso un’enorme arma per le aziende, uno strumento in più per pubblicizzare il proprio brand, per ripagare gli investimenti sostenuti, per aumentare quota di mercato o semplicemente per competere nel concorrenziale gioco del mercato.