INTERVENTI A TUTELA DELLA CONCORRENZA: CASI STORICI DI LOTTA AI MONOPOLI

di Leonardo Pietro Cervesato – Dottore in Ingegneria gestionale e responsabile sviluppo Lexacivis

I fallimenti di mercato sono quei fenomeni in cui un mercato, o un segmento di esso, per motivi intrinseci o esogeni si allontana dalla condizione di concorrenza e di benessere collettivo per avvicinarsi a forme dannose per i consumatori, come l’oligopolio o il monopolio.

Vediamo ora, concretamente, alcuni casi celebri in cui l’autorità garante del mercato e della concorrenza è intervenuta a discapito di imprese monopoliste, contro comportamenti sleali e anticoncorrenziali ed a difesa del benessere collettivo e del consumatore.

Il caso Alcoa, risalente agli anni ’30 del Novecento, è l’esempio storico di come gli incumbent (aziende già presenti nel mercato) possano intraprendere azioni strategiche per intimorire e combattere le nuove aziende che vogliono entrare nel mercato, anche attraverso comportamenti scorretti e di concorrenza sleale. Alcoa era la principale azienda produttrice di alluminio negli USA e controllava il mercato in modo quasi monopolistico. Una seconda impresa, molto più piccola, decise di entrare nel mercato grazie ad una modalità produttiva di nuova creazione, che permetteva di ridurre drasticamente i costi di produzione. Per fronteggiare la minaccia della nuova piccola ed efficiente azienda, Alcoa iniziò ad investire pesantemente in nuovi impianti produttivi, come ad esempio nuovi forni per la produzione di alluminio, senza però metterli in funzione. Questa operazione, pur sembrando irrazionale dal punto di vista concorrenziale (investimenti sprecati), ha in realtà una logica in ottica strategica: fu, infatti, una minaccia indiretta al nuovo potenziale concorrente. Alcoa dichiarò implicitamente che, nel caso in cui la nuova azienda fosse entrata nel mercato, avrebbe iniziato a produrre enormi quantità di prodotto (vista la grande capacità produttiva acquisita con i nuovi investimenti) schiacciando il prezzo finale dell’alluminio. Alcoa venne multata dall’antitrust americano per comportamento scorretto. L’antitrust, infatti, provò che gli investimenti in capacità produttiva inutilizzata di Alcoa erano stati fatti per produrre ad un costo inferiore, costringendo così la nuova azienda entrante ad abbassare i prezzi (per essere competitiva) e schiacciare quindi i propri guadagni, costringendola a rischiare il sottoprezzo e dunque il fallimento.

Il caso Eni gas. Un altro celebre esempio di abuso di posizione da parte di un incumbent nei confronti di un nuovo potenziale concorrente riguarda l’azienda Eni e la fornitura di gas. Ad inizio anni 2000 furono realizzati, da parte dei produttori di gas, dei grandi oleodotti per il trasporto e lo stoccaggio di questo materiale (ad esempio sottoterra o in mare). Per rientrare in questi investimenti, i produttori sottoscrissero con i paesi importatori (nel caso italiano appunto con Eni) dei contratti di lungo periodo, che prevedevano la fornitura di grandi volumi di gas. Il gas fornito era superiore all’effettivo fabbisogno italiano, così Eni iniziò ad immagazzinarlo all’interno di grandi riserve, in attesa di poterlo vendere all’utente finale. Una seconda impresa volle entrare nel mercato di importazione del gas in territorio italiano ma, a quel punto, non ebbe la possibilità di farlo poiché Eni, attraverso i grandi e lunghi contratti già stipulati con i fornitori, aveva impedito l’accesso al gas a terze parti, monopolizzando l’importazione in Italia. L’antitrust intervenne: Eni, infatti, stava monopolizzando il mercato impedendo, in modo sleale, l’esistenza di altri players nel mercato e quindi la condizione di concorrenza.

Il settore della telefonia e delle telecomunicazioni. Il settore delle telecomunicazioni è stato più volte oggetto di analisi ed interventi da parte dei regolatori di tutto il mondo. Un celebre caso riguarda il mercato telefonico degli Stati Uniti di inizio anni ’80. Nel 1980, infatti, AT&M era l’unica impresa (monopolista) a gestire le telecomunicazioni dell’intero territorio statunitense. NCI, una piccola azienda nuova nel mercato, voleva offrire il servizio telefonico ad un cliente, un’impresa produttiva che aveva la necessità di un collegamento tra Chicago e New Orleans. NCI, non avendo a disposizione l’infrastruttura fisica per offrire e gestire questo servizio, si rivolse ad AT&M chiedendo di poterne usufruire con la formula dell’affitto: la risposta fu negativa. NCI, allora, si rivolse all’autorità antitrust degli Stati Uniti. Il giudice stabilì che effettivamente AT&M stava agendo da monopolista e che azioni di questo tipo avevano come unico obiettivo quello di monopolizzare le uniche infrastrutture presenti per poter partecipare al mercato, così da escludere qualsiasi potenziale concorrente. AT&M venne così spaccata in otto diverse e più piccole imprese, di cui sette si spartirono la gestione locale di tutto il territorio americano e a quella originale venne imposto di occuparsi solamente delle comunicazioni a lunga distanza (tra diversi Stati). Questa azione portò tante nuove imprese nel mercato, ristabilendo la concorrenza. Anni dopo, precisamente nel 1996, l’allora presidente Clinton verificò che la concorrenza nel mercato delle comunicazioni era ormai ampiamente ristabilita e, attraverso il “telecomunication Act” eliminò i vincoli che erano stati imposti nel 1980: chiunque, dunque, avrebbe potuto offrire qualunque servizio, senza limitazioni geografiche o di alcun tipo. Ciò che si è osservato in seguito è stata una diffusa attività di merge (fusioni tra le aziende) fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui il mercato è gestito solamente da tre grandi aziende: West comunication, Verizon e, appunto, AT&M. Le considerazioni su questa storia sono brevi ed intuitive: ci sono alcuni mercati, come ad esempio quello delle telecomunicazioni, in cui la liberalizzazione (lasciare il mercato libero, senza intervenire) non porta necessariamente ad un aumento della concorrenza, ma piuttosto ad un consolidamento di mercato, quindi dell’affermarsi della posizione dominante di alcune e poche aziende. Esiste quindi una tendenza intrinseca e caratteristica di alcuni mercati di spostarsi verso una condizione lontana da quella di monopolio, e questo rende necessari gli interventi dello Stato. 

Italo e Trenitalia. Un caso simile a quello di AT&M e NCI, di abuso di posizione dominante da parte del monopolista che non concede al nuovo concorrente le infrastrutture per poter esercitare l’attività d’impresa, è quello tutto italiano della disputa tra Italo e Trenitalia. Era il 2012 quando la società NTV (Italo – nuovo trasporto viaggiatori) decise di entrare nel mercato del trasporto su rotaia ad alta velocità. Il mercato, in quel momento, era gestito totalmente da un’unica azienda, Trenitalia, i cui servizi si estendevano anche alle tratte locali e non solo all’alta velocità. Italo aveva bisogno di utilizzare le infrastrutture, come ferrovie e stazioni ferroviarie, per poter fornire il servizio di trasporto, infrastrutture che erano nella completa totalità in gestione a Trenitalia. Trenitalia iniziò così ad intraprendere una serie di azioni volte ad ostacolare Italo ed a mantenere il monopolio: ad esempio non concedeva ad Italo di poter esporre, nelle stazioni, gli schermi con le partenze e gli arrivi dei treni, o non gli dava accesso nelle stazioni più centrali. Inoltre, per poter utilizzare le ferrovie, Trenitalia imponeva affitti molto alti, proibitivi per Italo che già aveva sostenuto grandi investimenti per l’acquisto dei treni e le loro gestione. Inoltre, il business del gruppo Trenitalia era solo in parte in competizione con Italo (per il segmento alta velocità, tramite il servizio “Frecciarossa”), e questo permise a Trenitalia di fare la cosiddetta “sussidiazione incrociata” (cross subsidization). Questa azione strategica è quel fenomeno per cui un’azienda che agisce su più segmenti di mercato (come il trasporto locale e l’alta velocità, nel caso di Trenitalia) modifica la propria struttura di prezzo, aumentando i prezzi nel segmento in cui è monopolista (in questo caso le tratte locali) e diminuendoli nel segmento in cui è in concorrenza: così facendo l’impresa non subisce perdite, dato che le variazioni dei prezzi si compensano, ma mette in difficoltà il concorrente che, per poter competere, è costretto ad abbassare a sua volta i prezzi ma senza poterli compensare in altro modo. Dopo i molti esposti presentati da Italo, l’antitrust indagò e, tra il 2013 ed il 2014, si arrivò alla conclusione della disputa. Trenitalia venne assolta ma solo dietro l’impegno presentato ed approvato di intraprendere azioni di apertura verso nuovi concorrenti. Il gruppo FS, infatti, iniziò a predisporre segnaletiche all’interno delle stazioni per consentire ai viaggiatori di individuare gli specifici servizi erogati dai singoli operatori ferroviari e creò delle determinate aree per desk mobili e biglietterie self-service dei concorrenti, di facile utilizzo e visibilità. I gestori delle stazioni offrirono a NTV, inoltre, la possibilità di opzionare spazi pubblicitari sia all’interno delle stazioni servite dai treni Italo che nelle stazioni non servite. RFI, da ultimo, si impegnò a ridurre il canone di accesso alla rete in una misura pari al 15% per tutte le imprese ferroviarie, concedendo a NTV tutte le tratte richieste relativamente all’orario ferroviario. Seppur senza sanzioni, quindi, l’intervento dell’antitrust si concluse con un successo per quanto riguarda la concorrenza ed i consumatori, anche alla luce di altre considerazioni: da quando Italo e Trenitalia competono nel mercato, per le tratte fornite da entrambi i prezzi sono calati mediamente del 9% e la qualità, contemporaneamente, è migliorata, in un crescendo che ha portato i contendenti a livelli di servizio molto alti e sempre più utilizzati, a scapito del trasporto aereo. Si tratta, va sottolineato, di uno dei pochissimi casi al mondo di concorrenza nell’alta velocità ferroviaria.

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