di Leonardo Pietro Cervesato – Dottore in Ingegneria Gestionale e collaboratore di Lexacivis
TikTokers: eserciti di ragazzi, molti dei quali adolescenti, utenti di una delle app di intrattenimento più famose e scaricate degli ultimi due anni: TikTok, appunto.
L’enorme successo riscontrato dalla piattaforma social, lanciata nel 2018 e in poco tempo divenuta virale in gran parte del pianeta, va probabilmente ricercato nel grande bacino di utenza iniziale, il popolo cinese, e nella capacità di coglierne le “esigenze”, offrendo possibilità di registrare e modificare brevi video con le hit del momento e, ovviamente, condividerli.
Nell’era dei big data, dell’informazione e della cyberwarfare ogni piattaforma frequentata da miliardi di utenti che inseriscono e si scambiano dati si offre inevitabilmente a molteplici utilizzi, interpretazioni e critiche, TikTok compresa.
L’INTERVENTO DI TRUMP
L’attenzione sui rapporti tra il social media cinese e gli USA cresce quando il New York Times rivela che Microsoft è in trattativa con la società di Pechino ByteDance, casa madre di TikTok, per l’acquisizione di quest’ultimo: siamo a fine luglio 2020. Nonostante Microsoft non fosse nuova al settore dei social network, avendo acquistato nel 2016 la piattaforma Linkedin, la notizia dell’interessamento a TikTok ha fatto subito sospettare coinvolgimenti politici nella vicenda.
Meno di una settimana dopo, infatti, Donald Trump minaccia pubblicamente di vietare TikTok negli Stati Uniti qualora i negoziati per l’acquisizione della piattaforma cinese da parte di Microsoft o di un’altra società “molto americana” falliscano. La settimana successiva il presidente americano rincara la dose, concedendo a ByteDance, tramite un ordine esecutivo, 90 giorni per vendere o scorporare la sua attività TikTok negli USA, ritenendo inoltre che il governo statunitense dovrebbe ricevere una parte del pagamento come ricompensa per aver autorizzato l’acquisto.
Il governo americano e lo stesso Trump sostengono di avere prove credibili riguardo al fatto che ByteDance potrebbe minacciare la sicurezza degli Stati Uniti, disponendo di enormi quantità di dati di TikTokers americani: queste le motivazioni ufficiali della Casabianca.
TIKTOK SOTTO DIVERSE ACCUSE
In realtà, riavvolgendo il nastro, già in passato TikTok è stato bersaglio di svariate accuse.
Nell’aprile del 2019 viene sospeso in India per, tra gli altri, “contenuti inappropriati e di istigazione alla pornografia”, per poi essere definitivamente bandito a giugno 2020 con la motivazione di proteggere i dati di milioni di utenti.
Persino Anonymous, il gruppo (mondiale) di hacktivisti anonimi difensori dei mezzi di comunicazione e dei loro utenti, nel luglio del 2020 spara a zero su TikTok: a seguito di analisi di revenge-engineering, l’applicazione viene definita “un malware sotto il controllo del governo cinese per la sorveglianza di massa”.
Salta agli onori della cronaca, inoltre, un intervento di Mark Zuckerberg all’università di Georgetown durante il quale il patron di Facebook racconta agli studenti come l’app cinese oscuri sistematicamente proteste civili e politiche, minacciando la libertà di espressione. Virale diventò in quel periodo, infatti, un video pubblicato su TikTok come finto tutorial di make-up (appunto per aggirare la censura) in cui una diciasettenne nordamericana denunciava i campi di detenzione per musulmani in Cina.
TRATTATIVE DI ACQUISIZIONE
Tornando a Trump, molti hanno osservato come TikTok sia stata negli anni, e sempre di più, molto legata al continente nuovo, sia dal punto di vista aziendale sia da quello finanziario.
Uno dei più grandi quartieri generali del colosso cinese, ad esempio, si trova a Los Angeles e, stando alle ricostruzioni di Reuters (agenzia di stampa Londinese specializzata in servizi finanziari), circa il 70% dei suoi investitori esteri sarebbe americano.
Nella ricerca del benestare dell’establishment americano, inoltre, nel giugno del 2020 Kevin Mayer, manager americano ex CEO della Walt Disney Company, diventa COO di ByteDance e CEO di TikTok. Mayer si dimetterà dall’incarico però dopo appena tre mesi in seguito alle pressioni di Trump e all’accusa di essere al servizio di Pechino.
L’intreccio finanziario e politico della vicenda ha visto, durante tutta l’estate, continui sviluppi, tra nuovi potenziali acquirenti del segmento americano di ByteDance e continui rinvii di scadenza da parte di Trump rispetto al primo ordine esecutivo nei confronti di TikTok.
L’iniziale interessamento di Microsoft, dopo un breve inserimento della catena di supermercati Walmart come partner per l’acquisizione, condito da interventi politici e continui consigli da parte di Trump, viene definito una “soap opera” dal NYT per poi concludersi con un nulla di fatto.
Nel frattempo, anche Twitter si era inserita nelle trattative, principalmente con l’obiettivo di aumentare il proprio mercato includendo un pubblico mediamente più giovane rispetto a quello già iscritto, e per la possibilità di far ripartire il proprio business in Cina, fermo dal 2009 quando era stato bloccato l’accesso alle sue piattaforme. Twitter è stata comunque ritenuta fin da subito un debole potenziale acquirente, date le possibilità economiche e dimensioni di gran lunga inferiori rispetto al colosso di Bill Gates.
Il processo di trasformazione di TikTok in un’azienda almeno parzialmente americana, fortemente voluto da Trump, sembra però aver preso una piega decisiva quando nella trattativa si è inserita Oracle. La multinazionale del settore informatico, con sede nella Silicon Valley (California), si è fin da subito mostrata decisa nell’acquisizione delle operazioni negli Stati Uniti, in Canada, Australia e Nuova Zelanda, collaborando con alcuni investitori di minoranza di ByteDance, quali Sequoia Capital, General Atlantic e Walmart (questa già interessata, inizialmente al fianco di Microsoft). A favorirne la posizione rispetto ai concorrenti sono inoltre i forti legami tra l’azienda californiana e la Casabianca: Larry Ellison, co-fondatore, presidente e principale azionista della società, è da sempre un grande sostenitore di Donald Trump, che ha ricambiato pubblicamente esprimendosi favorevole all’acquisto delle operazioni statunitensi di TikTok da parte di Oracle.
Le ultime informazioni, ad oggi, parlano di un comunicato di Oracle e Walmart secondo cui ByteDance avrebbe acconsentito alla creazione di TikTok Global, una nuova società con sede negli Stati Uniti, per gestire le operazioni del social network per gli utenti americani e per “gran parte degli utenti nel resto del mondo”. Le due multinazionali dichiarano inoltre che compreranno il 20 percento di questa nuova società (i media americani dicono che Oracle avrà il 12,5 percento e Walmart il 7,5) e che, comunque, TikTok Global “sarà posseduta per la maggioranza da investitori americani”.
Trump, da canto suo, si è detto soddisfatto dell’accordo, specificando che la nuova azienda non avrà nulla a che fare con la Cina e tantomeno con alcun altro paese straniero.
DA PECHINO NON RESTANO A GUARDARE
In risposta alle iniziali accuse e decisioni di Trump, fin da subito TikTok si era detta “scioccata”, mettendo in dubbio la costituzionalità dell’ordine esecutivo, negando ogni incriminazione e, decisa a non mollare, intraprendendo azioni legali a propria tutela. Una prima contro l’ordine esecutivo di Trump, per “assicurare un equo trattamento dell’azienda e dei propri utenti”, e una seconda presso un tribunale federale di Washington, per valutare la violazione del primo emendamento della Costituzione americana a seguito di una cancellazione dell’app dai playstore americani.
Per quanto riguarda gli ultimi sviluppi della vicenda, ByteDance smentisce almeno in parte le dichiarazioni di Oracle e Walmart, relegandole all’appellativo di “rumors”. Si dice infatti, all’interno di un comunicato pubblicato su Toutiao (app di news in possesso di ByteDance), che l’azienda cinese manterrà una quota dell’80 percento in TikTok, e che non si prevede alcun trasferimento di tecnologia tra TikTok e TikTok Global, come invece diversamente dichiarato da Trump e dai vertici di Oracle e Walmart. Riguardo alle quote di proprietà, alcuni analisti hanno cercato di chiarire e accordare le varie versioni attraverso un calcolo per cui, considerato il 40 percento di TikTok già di proprietà di investitori americani, a cui si aggiunge il 20 per cento di Oracle e Wallmart, risulterebbe una complessiva maggioranza americana nella società. Lo scetticismo comunque rimane, anche perché non è ben chiaro ancora come queste percentuali si tradurranno in controllo effettivo della nuova società.
Altro punto focale riguarda l’algoritmo: ByteDance specifica che ne manterrà il controllo, concedendo a Oracle di ispezionarne il codice soltanto per motivi di sicurezza. La ragione prima per cui l’amministrazione americana voleva vietare l’app era, però, togliere dati sensibili americani al governo cinese: dati raccolti ed elaborati attraverso appunto l’algoritmo di TikTok, parte centrale di tutto il suo business.
VARIE CHIAVI DI LETTURA
Pensando alle conclusioni da trarre su questa vicenda, è necessario scindere le considerazioni in più segmenti di analisi, diversi tra loro ma indissolubilmente, e sempre più, tra loro legati.
La questione è prima di tutto un fatto di sicurezza nazionale, se non altro perché così è stato ufficialmente e più volte dichiarato dal governo americano. Stando a questo punto di vista, fino a quando l’algoritmo rimarrà nelle mani di ByteDance non sarà possibile eliminare del tutto il problema. A questo proposito Safra Catz, CEO di Oracle, nel tentativo di tranquillizzare gli americani e in primis la Casabianca, si è detta sicura “al cento per cento” della capacità della sua azienda di tenere al sicuro i dati degli utenti.
La questione è, però, anche un fatto finanziario. Il mercato in questione, quello dei big data e delle piattaforme digitali, è caratterizzato da forti economie di rete e, in senso matematico, da esternalità positive: il valore di un’azienda con questo tipo di business si calcola sulla base del numero di utenti che compongono la sua rete, utenti che tra loro interagiscono e che, anche senza voler creare valore agli altri utenti o all’azienda proprietaria, contribuiscono alla dimensione complessiva della rete e quindi al suo valore sul mercato. Questo valore, inoltre, cresce esponenzialmente con l’aumentare degli utenti: TikTok, gestendo una rete dell’ordine delle centinaia di milioni di utenti attivi, cifra in continuo aumento, dispone di capitali, risorse e informazioni che la posizionano tra le più grandi e potenti aziende a livello mondiale nel settore.
La questione è, inoltre, un affare politico. L’ultimo anno ha visto i rapporti tra Cina e Stati Uniti molto tesi: le accuse di spionaggio e la conseguente chiusura di uno dei consolati statunitensi in Cina, polemiche e denunce riguardo i campi di detenzione sul territorio cinese e non da ultime le continue tensioni, tra botta e risposta delle parti, riguardo alla gestione cinese dell’emergenza Coronavirus. Con questi presupposti, non deve stupire l’atteggiamento di Trump verso il partito comunista cinese e di conseguenza verso le aziende cinesi che hanno accesso a grandi quantità di dati americani.
La questione è, infine, materia legale e morale. Un’azione così restrittiva, come hanno fatto notare alcuni, potrebbe limitare la libertà di parola e costituire un pesante precedente nella cancellazione delle app negli Stati Uniti. D’altro canto, è dovere di uno stato tutelare la sicurezza nazionale e quella dei dati dei propri cittadini, specialmente se si tratta, come in questo caso, di molti adolescenti e minorenni. I detrattori della politica di Trump nei confronti di TikTok dicono che non sia confermato l’utilizzo e la raccolta dei dati degli utenti da parte del governo cinese. Parlando di dati, inoltre, la quantità potenzialmente raccolta risulta comunque molto simile a quella delle piattaforme di social media americane e, comparativamente, minore a quella di Facebook.
Attendendo di osservarne con maggiore chiarezza i risvolti amministrativi, economici, legali e politici, c’è chi ha definito questa vicenda come il più chiaro caso di “sovranità digitale”, uno storico esempio dell’importanza per i governi di poter estendere il proprio controllo sul mondo digitale, sui suoi servizi e sui suoi investitori, e su tutto ciò che il nuovo mondo, quello 4.0, può offrire al controllo.