di Fabio Anselmi – Dottore in Diritto per le imprese e redattore Lexacivis
L’evoluzione del diritto della pubblica amministrazione, che avviene in concomitanza con l’evoluzione dell’ordinamento vivente, è intrinsecamente legata alla forma di Stato, intesa come rapporto tra Stato apparato e Stato comunità. Siamo ad uno stadio dell’evoluzione in cui l’uso delle tecnologie appare imprescindibile se si vogliono affrontare le sfide della complessità. Complessità che ad oggi sembra sempre più umanamente ingestibile, ragion per cui accresce di anno in anno il bisogno della tecnologia nelle sue forme più avanzate. Non a caso, l’intelligenza artificiale ha conquistato anche l’intervento del neo Presidente del Consiglio, che ha sottolineato le potenzialità dell’innovazione tecnologica per incentivare investimenti e progettualità, in primis proprio nel campo della PA.
La digitalizzazione costituisce, ormai da molti anni, una straordinaria opportunità per massimizzare efficienza e sburocratizzazione della pubblica amministrazione, infatti il processo di applicazione delle ICT all’agire pubblico appare ad oggi inarrestabile e in continua evoluzione. In questo contesto, la nuova frontiera dell’efficientamento amministrativo è rappresentata sicuramente dall’impiego dell’intelligenza artificiale e, come ben auspicato dal Piano Nazionale Innovazione 2025, il passaggio ad un’amministrazione 4.0 non è una scelta, ma è qualcosa che si deve necessariamente compiere se si mira a massimizzare l’efficienza amministrativa attuando il principio costituzionale di buona amministrazione.
La legislazione sull’amministrazione digitale, che si sviluppa perlopiù nel Codice dell’amministrazione Digitale (D.L. n.82/2005), secondo autorevole dottrina, è ormai inadeguata in quanto obsoleta ed eccessivamente stratificata. La normativa esistente si pone in un’ottica tradizionale, che concepisce le tecnologie dell’informazione e della comunicazione come strumenti serventi ai processi decisionali i cui dominus restano comunque dei funzionari umani. Il codice dell’amministrazione digitale, nonostante le varie riforme susseguitesi nel corso degli anni, tratta esclusivamente del versante organizzativo delle PPAA in un’ottica di reingegnerizzazione dei processi e delle procedure, arrestandosi perciò alla regolazione della mera forma. Emerge di conseguenza l’inadeguatezza del quadro normativo nel cogliere le opportunità offerte da una realtà tecnologica caratterizzata da repentini cambiamenti e radicali innovazioni.
Risulta fin da subito imprescindibile una chiarificazione della distinzione tra digitalizzazione ed automazione, in quanto la seconda non consiste in una mera propaggine della prima. Il tema dell’automazione della Pubblica Amministrazione va oltre la concezione tradizionale e originaria della digitalizzazione, concentrandosi sulle decisioni automatizzate mediante algoritmi, sia nella loro forma, seppur molto complessa, di applicazione di istruzioni conoscibili e ripetibili, ma anche nella forma del c.d. machine learning, frutto quindi di percorsi di auto-apprendimento, non pienamente prevedibili e perciò parzialmente creativi. Il passaggio è dunque quello da una dimensione documentale ad un dimensione decisionale della Pubblica Amministrazione. La funzione dell’intelligenza artificiale e i dei big data al servizio dello Stato è quella di guidare o addirittura sostituire i funzionari pubblici nella fase decisoria del procedimento, tanto nella sua forma vincolata che in quella discrezionale.
L’applicazione dell’intelligenza artificiale ai processi decisionali delle PPAA pone tuttavia delle problematiche giuridiche di grande rilievo, sulle quali il dibattito accademico si sta facendo sempre più protagonista. Tali problematiche coinvolgono tanto il tema dell’an, cioè se sia possibile immaginare una decisione amministrativa totalmente automatizzata, tanto quello del quomodo, quindi a discutere delle condizioni alle quali si possano utilizzare algoritmi predittivi delle decisioni amministrative.
Una forte tensione si ha ad esempio con uno dei principi cardine del diritto amministrativo ormai da molti anni, quello della trasparenza dell’attività amministrativa: come si potrà garantire conoscibilità e comprensibilità da parte dell’amministrato del meccanismo con cui si concretizza la decisione robotizzata? Fermo l’articolo 97 Cost. come punto di partenza, la trasparenza qui indossa abiti nuovi, sia per l’oggetto che per i soggetti, e dovrà comprendere anche le indagini predittive compiute dall’algoritmo, in quanto capaci di definire le decisioni che riguarderanno gli stessi cittadini. Parimenti il problema si porrà nei confronti dell’attività giurisdizionale: come si potrà garantire che il giudice possa comprendere il meccanismo automatizzato che ha portato alla decisione, in modo tale da permettere il sindacato giurisdizionale?
Da tali domande sorge la soluzione prospettata da alcuni studiosi, quella di assicurare una concezione antropocentrica dell’amministrazione 4.0.: tale soluzione propone di assicurare un ruolo comunque centrale del funzionario nelle decisioni automatizzate, garantendo ad esso uno spatium deliberandi in merito al prodotto dell’algoritmo ed evitando una completa de-responsabilizzazione. A tal proposito si può ricordare l’art. 22 del GDPR, il quale sancisce il diritto del cittadino di non essere sottoposto ad una decisione basata unicamente automatizzata. Permane tuttavia il problema del funzionario che si limiti a prendere l’esito dell’algoritmo e a trasferirlo in un provvedimento amministrativo.
Va evidenziato che tutte le problematiche che sorgono coinvolgono il tema di un rapporto molto complicato, quello tra diritto e tecnologia. Quanto può il diritto cristallizzare la tecnologia? Sembra esserci un problema di fondo: la norma non può codificare un qualcosa che è soggetto ad una rapidissima capacità di cambiamento e trasformazione. L’evoluzione avviene ad una velocità tale che le norme scritte diventano obsolete nel giro di pochi anni. Di conseguenza, una norma rigida e specifica risulterebbe in breve tempo inapplicabile, quantomeno non nei termini di dettaglio con i quali il legislatore l’aveva scritta. Questo fa sempre più pensare che la transizione digitale della pubblica amministrazione non comporti solamente un ripensamento dell’azione e dell’organizzazione amministrativa, ma coinvolga gli stessi principi fondanti il diritto amministrativo, fino a ipotizzare una reinterpretazione della tradizionale dialettica autorità-libertà.