I DIRITTI DIGITALI DELL’UOMO: OPPORTUNITÀ DEMOCRATICA O DEGENERAZIONE?

di Filippo Carpenedo – Studente di Cultura umanistica e divulgazione e redattore di Lexacivis

Tutti gli storici sono concordi sul fatto che, nel corso della storia dell’umanità, abbiamo affrontato due grandi rivoluzioni: quella agricola nel Neolitico con il passaggio da uno stile di vita di caccia e raccolta ad uno di agricoltura e sedentarietà, e la rivoluzione industriale nel Sette-Ottocento. Un altro elemento su cui gli storici si trovano d’accordo è il fatto che le rivoluzioni si riconoscono sempre postume: l’uomo non si rende conto fino in fondo di vivere un periodo transitorio fondamentale finché non si esaurisce. È senz’altro vero che gli uomini del Settecento capirono la novità della macchina a vapore, ma la vera analisi del potenziale dell’industrializzazione la si ebbe successivamente, verso la fine dell’Ottocento. Perché questa lunga premessa? Perché molti studiosi affermano che stiamo vivendo, pur non rendendocene conto, il terzo grande cambiamento della nostra storia: la rivoluzione digitale.

La digitalizzazione a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni ha creato un un mondo sempre più connesso, le cui distanze sono state minimizzate e dove la vita è stata sdoppiata e traferita sulle piattaforme online. Ciò che è più problematico è il fatto che abbia creato anche una serie di interrogativi riguardanti il rispetto e la tutela dei nostri diritti fondamentali in questo nuovo mondo. Perché è innegabile l’esistenza di una vita che potremmo chiamare social-digitale che comprende moltissimi ambiti della nostra vita comunitaria, soprattutto dal punto di vista politico.

Negli ultimi anni si è discusso molto sul diritto all’accesso a Internet e se dovesse essere considerato un diritto fondamentale dell’uomo, con molti paesi che hanno fatto passi avanti molto importanti adottando leggi per garantire facilmente l’accesso a Internet e per prevenire la limitazione d’accesso (Costa Rica, Estonia, Finlandia, Francia per citarne alcuni). Dopo alcuni casi giudiziari, come ad esempio quello riguardante il ban del profilo Facebook di Casapound revocato dal Tribunale civile di Roma, il dibattito si è allargato dal diritto all’accesso al diritto alla presenza. Il diritto all’accesso è un diritto che potremmo considerare passivo, in quanto l’individuo può navigare nel web e passivamente sorbirne i contenuti. Il diritto alla presenza è attivo: l’individuo non solo ha accesso al web, ma può usare Internet per dire la sua, avere di diritto una presenza online. Per fare riferimento alla stessa sentenza nominata prima, cito parte del verdetto: “Il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico come testimoniato dal fatto che tutti i politici hanno un account sulla piattaforma”. Questa sentenza, indipendentemente dal caso specifico, prova quanto affermato precedentemente: il dibattito politico e la vita sociale si sono spostati sulle poche e grandi piattaforme digitali. E questo implica un’ulteriore osservazione: Facebook e gli altri social hanno garantito alla cittadinanza una nuova piattaforma per la libertà di espressione.

Nel 2015 l’UE ha inserito per la prima volta una sezione dedicata all’importante questione dei diritti fondamentali nella sfera digitale all’interno della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: “I cittadini hanno diritto a un’adeguata tutela dei loro diritti fondamentali online e offline” confermando il binomio vita reale/vita digitale analizzato precedentemente. “Rientra in tale ambito, segnatamente, la protezione dei dati di carattere personale, garantita dall’articolo 8 della Carta” che si declina non solo nella protezione dei dati di carattere personale, ma anche nel trattamento di essi: “Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica”. La Commissione europea ha inoltre nominato un comitato di protezione dei dati digitali che sarà responsabile del controllo e dell’applicazione delle leggi sulla protezione digitale, come sancito dal già citato articolo 8 della Carta: “Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente”.

Resta irrisolto il nodo centrale della questione: diritto all’accesso, diritto alla presenza e la sua degenerazione, il diritto alla visibilità. Queste piattaforme hanno fatto bene a dare a tutti un megafono in una quantità ingestibile di voci? È una sorta di iperdemocratizzazione, forse la prima volta nella storia in cui abbiamo una vera democrazia. Ma è una forma di equità sociale o è un altro esempio di democrazia da vetrina?

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