di Massimiliano Mattiuzzo – Dottore in Filosofia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia
Punto di partenza fondamentale, quando si vuole parlare di qualcosa che abbia a che fare con il mondo contemporaneo e in particolare con la società in cui viviamo, è la sua complessità. Innanzitutto è necessario operare una distinzione radicale tra “complicato” e “complesso”: il primo termine, infatti, deriva dal latino cum plicum (“con pieghe”), mentre il secondo da cum plexum (“con nodi”). La piega (di un vestito, ad esempio) va, appunto, spiegata, stirata perché il vestito possa essere indossato; il nodo, invece, l’intreccio, sottende un lavoro alla sua realizzazione e se viene sbrogliato si perde la sua stessa essenza (come gli intrecci di un tappeto). Ecco, quindi, che la complessità non consiste nella mera scomposizione in parti di ciò che la costituisce, come non può essere intesa col solo insieme generale. Piuttosto, essa ci impegna ad informarci, approfondire, indagare ogni fattispecie senza perdere il suo collegamento con le altre e con l’insieme di cui essa stessa fa parte.
Perché questo discorso rappresenta la riflessione preliminare fondamentale quando si vuole parlare di politica e, nel nostro specifico, del suo rapporto con i giovani? Se si è compresa l’enorme portata della complessità, risulta chiaro che questo approccio globale che tiene conto delle interconnessioni presenti ad ogni e tra ogni livello della nostra società e del nostro mondo è imprescindibile alla riflessione e all’azione politica. O meglio, dovrebbe essere imprescindibile, perché altrimenti ogni istanza decisionale non fa altro che trascinare alla sua base una ragione e una motivazione mutilate, che non possono essere efficaci e proficue nei loro obiettivi. Il delicato tema della relazione tra giovani e politica è insieme espressione di questa complessità e terreno fertile per la sua genesi. Questa duplicità può portarci, anzitutto, a due distinte riflessioni che sintetizzeranno una prima conclusione in merito al rapporto tra politica e giovani.
In primo luogo, abbiamo detto, questa relazione è espressione della complessità del nostro mondo. Ciò significa che, come ogni configurazione interna al sistema globale che ponga in connessione due attori o due istanze, essa non può né essere intesa e compresa concentrandosi su di un suo solo lato (e dunque solo sul lato “politica” o solo sul lato “giovani”); né questa relazione può essere efficacemente affrontata se la si isola dalle altre istanze e dagli altri attori con cui è collegata (facili esempi sono la demografia di un determinato Stato, il suo sviluppo, ideologie politiche ecc.). In secondo luogo, abbiamo detto che la relazione tra giovani e politica è un terreno fertile per la genesi della complessità; o, almeno, potrebbe esserlo. Ciò significa che, se questa relazione si configura in maniera appropriata e conforme al sistema all’interno del quale è inserita, essa diventa un catalizzatore di nuove possibilità, di nuovi stimoli, di nuove istanze e attori.
Allora, ciò significa che la questione dei giovani e della politica deve rientrare all’interno del sistema della policy (che la Treccani definisce come «insieme delle intenzioni e degli atti volti a risolvere un problema sentito come rilevante da molti»). Io credo, invece, che nel nostro Paese la questione venga affrontata intendendola come quel campo dell’azione politica indicato con politics («competizione per il consenso e per la conquista delle posizioni di potere»). Non è infatti difficile accorgersi che qualsiasi schieramento politico, a parole, promuove politiche giovanili, coinvolgimento dei giovani in politica e interesse per le generazioni future. I fatti, però, ci hanno abituato all’opposto.
A questo punto si innesta una seconda riflessione, anch’essa scomponibile in due distinte sezioni. Da un lato, infatti, risulta allora necessario chiedersi come agisca una scelta politica sui giovani, ovvero concentrarsi sul livello di “effettività conseguente” della politica. La Brexit può essere un esempio chiarificatore. Senza prendere posizione a favore o contro di essa, infatti, risulta interessante concentrarci su una questione: in generale (vari studi sulle intenzioni di voto e sugli exit poll lo hanno dimostrato) la popolazione giovane (in particolare delle grandi città) ha votato compatta per il remain; al contrario, la popolazione più anziana (in particolare situata al di fuori dei grandi centri) ha preferito optare per il leave. Questo significa che chi non vedrà compiersi appieno i risultati e le conseguenze di questa scelta (e quindi gli anziani) ha imposto quelle conseguenze, e dunque la futura configurazione, ai giovani, ovvero a coloro che vivranno i prima persona quelle conseguenze.
Dall’altro lato, può essere utile concentrarsi sul livello di “effettività antecedente” della politica, ovvero sul versante legislativo di chi quelle scelte (come la Brexit o un referendum) le propone o, nel caso non di quesiti referendari, le discute e le attua. Anche a questo livello si ripropone la stessa questione: i legislatori (ovviamente su mandato elettorale) “impongono” ai cittadini delle leggi che hanno conseguenze che i legislatori stessi potrebbero non avere tempo di vedere, e ciò ricade nuovamente sulla popolazione più giovane.
L’unione di queste due effettività – conseguente e antecedente – porta al nostro secondo guadagno in merito al rapporto tra politica e giovani: da un lato (conseguente) il tessuto sociale e la società civile devono essere sufficientemente disponibili a riconoscere che i soli interessi individuali non possono essere l’unico motore per le decisioni di voto; dall’altro lato (antecedente) il legislatore non può utilizzare i giovani solo come strumento per la conquista del voto ma deve porli come vero punto focale delle politiche di cui vuole farsi promotore.
A ben vedere, risulta chiaro che il principio che sottende il nostro ragionamento è il buon funzionamento democratico. Aristotele definiva la virtù come il buon funzionamento di qualcosa (ad esempio virtù del coltello è quella di tagliare bene); ciò significa che focus fondamentale del rapporto tra giovani e politica deve essere un principio virtuoso dello Stato. Ovvero, perché si realizzi quel secondo guadagno di cui abbiamo appena parlato, le dinamiche democratiche in senso ampio (dalla rappresentanza, al rapporto tra poteri, alla valorizzazione delle minoranze ecc.) devono essere garantite. Solo in questo modo, infatti, la complessità della società può essere affrontata e portata avanti con efficacia. Esempio lampante – recuperando una delle istanze di cui parlavamo nel nostro primo ragionamento – è la demografia del nostro territorio: i giovani rappresentano una minoranza; un buon funzionamento democratico valorizzerebbe gli apporti che essi possono dare alla società nel suo insieme, li tutelerebbe rispetto alle loro fragilità (sia in quanto cittadini singoli, sia in quanto componenti l’insieme giovanile) e promuoverebbe azioni che li interesserebbero sia nel presente che nel futuro. Anche qui, la realtà dei fatti è ben diversa. Basta pensare a un semplice caso: durante la pandemia gli studenti universitari sono stati totalmente dimenticati e abbandonati, spesso si sono trovati a dover pagare la totalità delle tasse, a trovarsi a vivere in città che richiedevano comunque il pagamento totale di affitti, bollette e spese, senza vedersi garantiti i diritti che avrebbero dovuto essere loro dovuti.
Un’ultima riflessione è però necessaria. Dobbiamo ora infatti concentrarci sul lato dei giovani, componendolo con ciò che fin qui abbiamo detto. Può sembrare banale ma in prima battuta noi giovani abbiamo il dovere di cogliere le opportunità che ci vengono date. L’Unione Europea – con la risoluzione del Consiglio del 26 novembre 2018 – ha promosso la sua Strategia per la gioventù 2019-2027 ponendo undici obiettivi che riguardano tre ambiti fondamentali: Mobilitare, Collegare, Responsabilizzare. Questo è un esempio per mostrare che “dall’alto” alcune cose si muovono: noi dobbiamo essere pronti all’ascolto e ad accogliere le possibilità di crescita, formazione, scambio che abbiamo a nostra disposizione. Non solo, in seconda battuta i giovani hanno il dovere di portare alla luce e mostrare le istanze che ritengono fondamentali per la loro vita futura e per quella della società e del mondo in generale, e di lottare per esse. Inoltre, nel momento in cui non vengano garantiti o resi disponibili spazi, possibilità, realtà tali da rendere tutto ciò possibile, noi giovani abbiamo il dovere di sopperire a queste mancanze, di fare rete, di condividere esperienze e idee. Siamo probabilmente la generazione più istruita, con più possibilità di viaggiare e con più opzioni disponibili davanti a sé: dobbiamo essere in grado di far fruttare queste fortune.
Concludendo, il rapporto tra giovani e politica è oltremodo complesso e sfaccettato, qui ci siamo concentrati in particolare su di un apparato teorico che possa darci alcuni strumenti per riflettere su questa grande questione. Risulta comunque fondamentale fuoriuscire da quei sentieri di ragionamento che si rifanno a “età dell’oro” in cui si idealizza questo rapporto e lo si fa risultare perfetto. Altrettanto importante è, come abbiamo visto, riconoscere che la quantità di principi, fattori, istanze, attori e realtà coinvolte nel rapporto tra giovani e politica è veramente enorme: concentrarci solo su alcuni di essi o solo sull’insieme dimenticando le interconnessioni porta necessariamente a conclusioni non pregnanti. Ciò che possiamo fare allora è utilizzare uno sguardo privo di pregiudizi, aperto alle possibilità e al dialogo, che permetta la nascita di legami proficui, di collaborazioni utili e di idee virtuose e impattanti in maniera efficace nella società e nel suo sviluppo.