FORTI TENSIONI FRA RUSSIA E NATO: LA SITUAZIONE STA DAVVERO DEGENERANDO?

di Filippo Carpenedo – Studente di Cultura umanistica e divulgazione e redattore di Lexacivis

Uno degli argomenti che più ha occupato i titoli delle testate nazionali e, soprattutto, internazionali e che probabilmente diventerà sempre più centrale nel dibattito pubblico è la tensione tra la Russia e la NATO causata dalle minacce di Mosca nei confronti dell’Ucraina. Questa risonanza va ricondotta in primo luogo all’entità della questione, dato che si tratta del rischio di uno scontro armato, ma anche al tipo di coinvolgimento dei principali attori politici internazionali. L’attrito tra Ucraina e Russia è di forte interesse per la NATO e, in particolare, per gli Stati Uniti e, ancor di più, per l’Unione europea che rischia di assistere alla nascita di un conflitto armato sul proprio suolo.

Nel concreto, le fortissime tensioni degli scorsi giorni nascono dal massiccio dispiegamento di soldati russi al confine con l’Ucraina (le ultime stime parlano di 100.000 unità). Tensioni che la diplomazia non è riuscita a sciogliere dato che gli incontri tra la NATO e la Russia non hanno portato a nulla: Mosca, infatti, mette come condizione per il ritiro delle truppe l’esclusione dell’Ucraina dalla NATO, giudicata fuori discussione dai Paesi del Patto Atlantico perché “accettare significherebbe compromettere uno stato candidato a causa di un ricatto di un paese esterno all’alleanza”.

La situazione, già di per sé preoccupante, ha subito un peggioramento nei giorni scorsi. Lunedì scorso si è tenuta una videoconferenza tra i leader dei paesi più ricchi della NATO per decidere una linea comune: erano presenti Joe Biden, Boris Johnson, Emmanuel Macron, Olaf Scholz (il neocancelliere tedesco) e Mario Draghi. Oltre a questi, hanno preso parte alla riunione alcuni rappresentanti a parte, come Andrei Duda (il Presidente polacco, ma in questo caso rappresentava l’OSCE), Ursula von der Leyen (per la Commissione europea) e Charles Michel (per il Consiglio europeo).

Tra i diversi nomi sopracitati ci sono linee di reazione piuttosto diverse. Tra tutti, gli Stati Uniti sono il paese che più si è dimostrato interessato e interventista, con già 8500 soldati messi in stato d’allerta in Ucraina. Biden stesso ha detto in una recente intervista che immagina la possibilità di infliggere sanzioni direttamente a Putin e non più ad aziende e personaggi di potere che possano far pressione sul governo russo. Si tratta di un gesto forte che può portare anche a reazioni aggressive: non stupisce che in tutto questo tempo e con tutte le sanzioni imposte alla Russia, nessuna abbia raggiunto direttamente il Presidente.

È difficile da dire quanto la situazione sia davvero grave. La domanda che tutti si stanno ponendo in questi giorni è: “E se Putin bluffasse?”. Questo dubbio sorge spontaneo: ormai da settimane Putin tace in merito alle tensioni che lui stesso ha creato, e lascia che siano i suoi avversari a reagire e, soprattutto, a dividersi. Intanto osserva le reazioni, mette alla prova la solidità delle alleanze e valuta le possibili risposte in caso di conflitto. Ma è chiaro ed evidente che davanti al dispiego di 100.000 unità militari non si può rimanere indifferenti: la cosa migliore da fare è quella di prendere sul serio la questione. Anche perché i progetti di Putin non sono un mistero, anzi è lui stesso a ribadirle tramite un’accurata opera di propaganda in Bielorussia e Crimea. È solo di qualche mese fa un articolo di pugno del Presidente russo sui rapporti tra l’Ucraina e la Russia in cui afferma che “i due popoli sono un unico popolo. Siamo un tutt’uno”. Seguono migliaia di parole per sostenere questa tesi, storiograficamente contestata da Kiev. Il documento è disponibile sul sito del Cremlino, in lingua inglese.

Nel frattempo, bluff o non bluff, Biden ha deciso di evacuare l’ambasciata statunitense in Ucraina: il ritorno in patria è ancora facoltativo per gli organi burocratici, ma è obbligatorio per i familiari, segno che non sono considerati essere al sicuro. Australia, Germania e Canada hanno tutti replicato la decisione. Anche il Regno Unito ha deciso di seguire l’esempio degli USA, con Johnson che ha tutti gli interessi ad agitare lo spettro della guerra per distogliere l’attenzione dalle sue feste organizzate durante il lockdown: l’inchiesta sulle stesse è iniziata il 25 gennaio, ma è passata in secondo piano rispetto alle vicende russe per la gioia del Premier.

E l’Ucraina? Il Ministro degli affari esteri ucraino Nikolenko ha detto che “pur rispettando la decisione statunitense di evacuare le ambasciate l’Ucraina considera il gesto prematuro e di eccessiva cautela”. Anche il presidente Zalens’kyj ha invitato i connazionali a non andare nel panico, definendo l’invasione russa “non imminente”, ma riconoscendone la minaccia. Entrambi questi interventi inseguono la volontà di mantenere stabilità nella società ucraina ridimensionando la minaccia russa.

E il resto dell’Europa? Uno dei primi paesi a muoversi in prima persona è stata la Danimarca manifestando l’intenzione di mandare una fregata come nave da guerra nel Mar Baltico e quattro F16, dei jet da caccia. Anche la Spagna ha deciso di inviare delle navi per unirsi alle forze navali NATO e sta considerando l’idea di mandare dei jet nelle basi della Bulgaria (altro paese NATO). Insieme a Danimarca e Spagna, la Francia si è detta pronta a mobilitare l’esercito e inviare le proprie truppe nel caso in cui la NATO lo richiedesse.

È una situazione molto delicata, in cui nulla di ciò che temiamo sta succedendo, ma non è detto che non succeda.

Chi sta agendo con più scetticismo è la Germania che grida alla prudenza nel minacciare attacchi alla Russia. Perché? Secondo il New York Times ci sono due ragioni alla base della linea moderata: la prima, decisamente più nobile della seconda, è che “dopo la Seconda Guerra Mondiale il Paese è riluttante nel prendere in mano le questioni di sicurezza militare in Europa”. Ma il New York Times dimentica che la Germania è la prima economia della regione (con ben 3,8 miliardi di PIL): il suo ruolo sarebbe quello naturale di guida. La seconda ragione riguarda un interesse tedesco relativo all’aperta questione del Nord Stream 2 (il famoso gasdotto ultimato, ma non ancora attivo) che la collega direttamente alla Russia.

Putin, infatti, ha il grandissimo potere di controllare l’afflusso di gas in Europa. Il Presidente russo continua a dire che l’attivazione del condotto risolverebbe la questione dell’impennata dei prezzi del gas (causata proprio dalla mancanza di offerta). Altri attribuiscono alla Russia la volontà di provocare questa scarsità di gas per giustificare l’avvio del gasdotto e, di fatto, mettere in scacco l’Ucraina per quanto riguarda le forniture di gas.

E l’Italia? L’Italia fa l’Italia: aspetta. Esprime vicinanza a parole, ma senza ancora nessun’azione concreta. Ma c’è un dettaglio. Qualche giorno fa Mattarella, su proposta del Ministro degli esteri, aveva dato due onorificenze al Sottosegretario al Ministero dell’industria e dei commerci esteri russo e a un banchiere e oligarca vicino all’apparato di potere del Cremlino. Ciò è collegato con un incontro che si è tenuto il 27 gennaio tra i dirigenti di grosse aziende italiane quali Unicredit, Pirelli, Generali e Vladimir Putin in persona per discutere, a quanto pare, della possibilità di espandere i legami economici tra i due paesi. Pare che il governo italiano abbia chiesto di cancellare l’incontro, ma fallendo. Ciò che è certo è che i manager delle imprese di Stato (tra cui Eni e Snam) non hanno partecipato: questo fatto restituisce il clima presente nel nostro paese riguardo questa delicata questione.

Nessuno sa cosa ci sia nella testa di Putin, ma è chiaro che è indispensabile passare per la diplomazia: è quello che sta provando a fare Macron, prima con un incontro il 26 gennaio e qualche giorno dopo con una lunga chiamata con il leader russo. Come ha scritto Pierre Haski sul France Inter: “In geopolitica come a carte, solo alla fine si scopre se qualcuno bluffasse. Non siamo ancora arrivati alla mano decisiva”.

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