DDL “FINE VITA”: LA PRIMA PRESA DI COSCIENZA DELLA CAMERA IN TEMA DI MORTE DIGNITOSA

di Edoardo Maniago – vicepresidente e direttore di Lexacivis e studente di Giurisprudenza

È stato approvato dalla Camera dei deputati, con un ampio margine di consenso (253 voti favorevoli, 117 contrari e un astenuto), il disegno di legge c.d. “fine vita”. L’iter legislativo, iniziato il 13 dicembre 2021 a seguito dell’approvazione del disegno di legge da parte della Commissione Giustizia e Affari Sociali del Parlamento, si è prolungato fino al 10 marzo 2022, data dell’approvazione del disegno di legge. Il prolungarsi del processo di elaborazione del d.d.l. è dovuto, da un lato, dalla forte opposizione dei partiti più conservatori, espressa dagli oltre 200 emendamenti, e, dall’altro lato, dalla diversa visione ideologica sull’oggetto della legge da parte di partiti che formano la maggioranza di governo.

Ora si dovrà attendere anche l’approvazione da parte del Senato per poter vedere infine promulgata la legge da parte del Presidente della Repubblica.

IL CONTESTO

In realtà, il dibattito giuridico sulla necessaria presenza in Italia di una legge che disciplini la possibilità per la persona di porre fine alla propria vita volontariamente e autonomamente non ha avuto inizio nel 2021, ma quasi dieci anni fa, quando nel 2013 vi fu una proposta di legge di iniziativa popolare sul tema, la quale portò all’approvazione della legge n. 219/2017. Quest’ultima, però, introduceva solamente il consenso informato,ossia l’impossibilità di iniziare qualsiasi trattamento sanitario senza il consenso libero ed informato della persona interessata, ed il testamento biologico, ossia la predeterminazione del consenso o del rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminazione. Tuttavia, questo primo passo lasciava comunque l’ordinamento italiano lontano rispetto ad un puntuale disciplinamento del fine vita. Ciò lo aveva rilevato anche la Corte costituzionale, la quale, all’interno dell’ordinanza che ha anticipato la “sentenza Cappato”, aveva affermato che l’assetto normativo concernente il fine vita lasciava prive di adeguate tutele determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione.

La mancata assunzione di responsabilità da parte del Parlamento, a fronte anche di una espressa richiesta della stessa Consulta di predisporre una legge che disciplinasse la scelta del cittadino di poter porre fine dignitosamente alla propria vita, ha portato la Corte costituzionale, nella nota “sentenza Cappato” del 2019, a dichiarare parzialmente incostituzionale l’art. 580 del Codice penale. In tal modo si rendeva possibile il suicidio medicalmente assistito tenute presenti, però, delle rigide condizioni: (i) il proposito al suicidio deve essere autonomamente e liberamente formatosi nella persona; (ii) la persona deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale; (iii) la persona deve essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, ma capace di prendere decisioni libere e consapevoli; (iv) le condizioni di esecuzione devono essere verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del Comitato etico.

La persistente inerzia del Parlamento a discutere del tema, l’Associazione Luca Coscioni, con il supporto di altre associazioni e anche alcuni partiti (+Europa, Possibile, Radicali italiani e Sinistra Italiana) aveva promosso nell’estate del 2021 un referendum sull’eutanasia legale (definito giuridicamente “omicidio del consenziente”), il quale aveva raccolto oltre 1 milione e 200 mila firme. L’iniziativa aveva come obiettivo quello di abrogare alcuni passi dell’art. 579 del Codice penale, che punisce l’omicidio del consenziente con la reclusione da 6 a 15 anni. L’articolo, così come emendato dal quesito referendario, permetteva per la precisione l’eutanasia attiva, ossia la non punibilità del medico che somministrava il farmaco letale al paziente che prestava il proprio consenso nelle forme previste dalla legge sul consenso informato. Tale pratica, tuttavia, continuava ad essere punita se il fatto fosse stato commesso contro una persona incapace o minore di diciotto anni, oppure contro una persona il cui consenso fosse stato estorto con violenza, minaccia o suggestione. La Corte costituzionale, tuttavia, nel febbraio 2022 ha ritenuto inammissibile il quesito referendario poiché, “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”.

Da più parti, in seguito alla bocciatura della Corte costituzionale, si è palesata nuovamente l’esigenza di affrontare il tema del suicidio assistito in Parlamento, approvando una legge che lo regolamenti.

IL TESTO

Il testo del disegno di legge sul fine vita recepisce la sopra nominata “sentenza Cappato”, avente ad oggetto il suicidio medicalmente assistito, e non quanto domandato dal referendum promosso dall’Associazione Luca Coscioni che chiedeva, invece, l’abrogazione di alcune parti dell’art. 579 c.p. sull’omicidio del consenziente. Si può affermare alla luce di ciò che l’iter del d.d.l. sul fine vite procede in parallelo al referendum sull’eutanasia legale, in quanto il disegno di legge agisce sull’art. 580 c.p. mentre il referendum abrogativo ha agito sull’art. 579. Infatti, in presenza delle condizioni così come previste dalla presente legge, diverrà non più punibile l’eutanasia passiva, ossia la morte volontaria per atto autonomo e consapevole.

Le finalità e le condizioni (art. 3) affinché sia possibile avanzare una richiesta di morte volontaria medicalmente assistita da una persona affetta da patologia irreversibile o con prognosi infausta, accertata dal medico curante o dal medico specializzato, che cagioni sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili. Quest’ultimo punto si differenzia da quanto affermato dalla Consulta, la quale dava autonomia alla sofferenza psichica, ponendola in alternativa a quella fisica.

Affinché sia possibile ricorrere al fine vita è poi necessario che a fare richiesta sia una persona maggiorenne, capace di intendere e volere, adeguatamente informata su tutte le possibili alternative, che sia stata previamente coinvolta in un percorso di cure palliative al fine di alleviarne la sofferenza e, infine, che sia tenuta in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale. Tale richiesta dovrà essere inoltrata direttamente al medico specializzato oppure al medico generale, il quale dovrà redigere un rapporto dettagliato della condizione clinica del paziente, dell’adeguata informazione fornita al paziente riguardo a quest’ultima e delle possibili alternative terapeutiche, nonché del suo diritto di accedere alle cure palliative ed eventualmente, se vi ha già avuto accesso, del suo rifiuto a tale possibilità terapeutica (art. 5, co. 3).

Sulla figura del medico grava la responsabilità di verificare la sussistenza dei presupposti così come previsto dall’art. 3 e, in caso di esito positivo, dovrà procedere all’invio del rapporto contenente le motivazioni che hanno determinato tale scelta al Comitato di valutazione tecnica competente per territorio. I Comitati per la valutazione tecnica sono disciplinati e istituiti dalla presente legge allo scopo di garantire la dignità delle persone malate e di sostenere i professionisti sanitari nelle scelte etiche a cui sono chiamati (art. 7).

Un’ulteriore disposizione su cui è utile soffermarsi è quella riguardante la possibilità di invocare l’obiezione di coscienza in presenza della quale è concessa al personale sanitario la facoltà di rifiutare di prendere parte alle procedure per l’assistenza alla morte volontaria medicalmente assistita; è fatta salva l’ipotesi della revoca dell’obiezione di coscienza in ogni momento dall’ esercente sanitario, previa comunicazione (art. 6).

Infine, qualora venisse approvata la legge in Senato, essa avrà forza retroattiva ed escluderà la punibilità per chiunque sia stato condannato per aver agevolato, anche con sentenza passata in giudicato, la morte volontaria medicalmente assistita di una persona prima dell’entrata in vigore della legge.

Secondo molti si tratta di un testo ancora poco chiaro. In merito si è espressa anche l’Associazione Luca Coscioni ravvisando un effetto discriminatorio nella parte in cui si prevede che per accedere al suicidio medicalmente assistito si debba essere tenuti in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale, soprattutto nei confronti di quei pazienti che sono affetti da malattie quali cancro o neurodegenerative. Inoltre, la previsione dell’obiezione di coscienza costituirebbe un ostacolo in più per i pazienti, i quali potrebbero capitare in una struttura sanitaria che invochi tale possibilità, impedendo così l’esercizio del proprio diritto.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...