La giustizia riparativa: una diversa filosofia

di Irene Vendrame, laureata in Philosophy, International and Economic Studies e direttrice marketing di Lexacivis

L’indagine sulla giustizia è cominciata nel momento in cui gli uomini hanno cominciato a filosofare e a porsi domande sulla natura dell’uomo e sulle modalità con cui si rapporta con chi gli sta attorno. Giustizia è un termine che raccoglie molte accezioni, e molti lo hanno declinato in accordo  alla loro visione del mondo e lo hanno riallacciato ad un più ampio apparato retorico. Tuttavia, da quando l’essere umano ha cominciato a vivere in società, la giustizia ha trovato espressione pratica nel diritto, variamente concepito ed applicato, ovvero all’insieme di norme codificate che vengono accettate dai componenti di un gruppo, e che ne regolano la convivenza.

Come abbiamo già spiegato qui, il genere di giustizia a cui si rifà il nostro diritto è quello della giustizia retributiva, il famoso occhio per occhio che risale al codice di Hammurabi: se un individuo commette reato, lo Stato riafferma il proprio potere su di lui punendolo con varie modalità, tra cui la reclusione. Ciò che salta subito all’occhio è che non si parla di vittime: una volta che una persona ha ricevuto un torto deve “accontentarsi” di vederne punito l’artefice. Il limite di questa prospettiva è che si concentra sulla punizione da infliggere: è come se il punto di vista rimanesse chiuso e focalizzato in un momento, ovvero quello della vendetta, senza aprirsi a guardare davvero ciò che ne sarà della vittima, come si comporterà in futuro l’autore del danno e quali saranno le conseguenze che un reato può portare al tessuto sociale. È come se con un obbiettivo fotografico avessimo zoomato troppo e ci fosse uscita un’immagine distorta: quando viene commesso un reato, ciò che si spezza e che si deve provvedere a riparare è la relazione di fiducia tra individui che consente la coesione di una società.

La giustizia riparativa punta a sanare la spaccatura che si forma tra le persone quando viene commesso un torto. Per far questo, il primo passo da compiere non è punire l’autore del misfatto, ma riconoscere la dignità della vittima e della sua perdita. Citando Paul Ricoeur, il riconoscimento non è possibile senza riferimento all’altro, che tradotto in termini più pratici significa: non può esserci riconoscimento se non tentiamo di ricucire il filo strappato tra parte lesa e reo, che poi è lo stesso filo che costituisce il tessuto sociale. È quindi necessario operare un’opera di mediazione tra le due parti, cosicché la vittima possa sentirsi compresa – e quindi non far crescere in essa un sentimento di risentimento che potrebbe sfociare in altra violenza – e il colpevole possa avere la possibilità di rimediare alla sua colpa, sanando la mancanza che ha contribuito a creare.

In questa operazione è indispensabile la presenza della comunità, ovvero il contesto in cui la mediazione ha luogo, perché è proprio sui valori fondanti tale comunità che le due parti potranno ricominciare a comunicare, a maggior ragione se il reato non è stato commesso solamente contro un individuo ma verso un gruppo di persone.

La connotazione comunitaria della pratica della giustizia riparativa è anche il lato problematico della sua applicazione, infatti, le modalità di mediazione tra vittima e delinquente devono essere decise di volta in volta a seconda del contesto e delle peculiarità del caso, lasciando ampio margine di discrezionalità alle persone che operano in quest’ambito (siano essi giudici o mediatori a tutti gli effetti). Si tratta di applicare la legge in maniera quasi personalizzata al caso specifico, facendo emergere e valere la relazione tra le parti sopra al testo di legge. Se questo può essere più agevole da applicare nel contesto anglosassone dove è presente una forma più empirica di diritto – è proprio lì infatti che si sono sperimentate le prime pratiche di giustizia riparativa – nel Vecchio Continente che applica il diritto positivo, questo è di più difficile attuazione, anche perché spesso si tratta per lo più di pratiche informali. Dopo una seria presa di coscienza relativamente alla situazione della giustizia in Italia – nonostante le reali complessità che l’applicazione di un nuovo paradigma può comportare – vale la pena di riflettere su un nuovo sistema e una diversa concezione di giustizia, che possa dare nuovo e più forte significato ai concetti di persona e comunità.

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