GLI STRUMENTI RIPARTIVI NEL PROCESSO PENALE MINORILE

di Gloria Vindigni – Dottoressa in Giurisprudenza e redattrice di Lexacivis

Come abbiamo accennato nell’approfondimento introduttivo, la giustizia riparativa nel nostro ordinamento trova maggior applicazione nel processo penale per i minorenni. Esso è regolato in maniera differente rispetto al rito processuale riservato agli adulti, difatti la finalità sulla quale si basa il D.P.R. 448 del 1988 e il successivo D.L. 2 ottobre 2018, n. 121 è quella di attivare percorsi che favoriscano la riparazione, la responsabilizzazione e l’educazione nel rispetto dello sviluppo psico-fisico del minore.

Nello specifico il DPR sopracitato all’articolo 9 stabilisce anzitutto la necessità, da parte del giudice e del pubblico ministero, di una valutazione della personalità del minore che riguardi la famiglia, la società e l’ambiente in cui il soggetto vive al fine di determinare l’imputabilità, il grado di responsabilità, la rilevanza sociale del fatto e l’adottabilità di provvedimenti adeguati.

Tale valutazione deve essere compiuta da soggetti esterni con competenze psico-pedagogiche, essi possono anche prestare assistenza in ogni grado del procedimento congiuntamente ai genitori così come previsto dall’articolo 12 del dpr.

Tra i soggetti esterni che possono interfacciarsi con il minore autore del reato vi è certamente il mediatore il quale, come abbiamo già visto, prima con una serie di incontri separati, poi con incontri tra il reo e la vittima tenta di facilitare la riconciliazione tra questi ultimi.

Lo strumento della mediazione può essere utilizzato sia nella fase delle indagini preliminari sia durante il processo: nel primo caso il giudice sentito il minore avvia immediatamente un percorso di responsabilizzazione del reo che successivamente può essere prosciolto per irrilevanza del fatto o scegliere la strada del perdono giudiziale; nel secondo caso espressamente previsto dall’articolo 28 del dpr 448/88 invece, il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo e affida il minore ai servizi locali per attività di osservazione, di trattamento e  di sostegno.

Lo strumento della messa alla prova disciplinato dall’articolo sopracitato, consente di sospendere il processo per un periodo non superiore a tre anni quando è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non superiore a dodici anni, negli altri casi per un periodo non superiore a un anno.

La sospensione non può essere disposta se l’imputato ha richiesto il giudizio abbreviato o il giudizio immediato, essa può altresì essere revocata se l’imputato ha commesso gravi e ripetute trasgressioni alle imposizioni del giudice.

Contro l’ordinanza il pubblico ministero, l’imputato o il suo difensore possono ricorrere in cassazione.

Qualora l’esito della valutazione della messa alla prova dia esito positivo, il giudice con sentenza dichiara estinto il reato altrimenti, in caso di esito negativo, adotta ulteriori provvedimenti o dispone l’udienza dibattimentale.

Fermo restando che il percorso di mediazione può essere intrapreso previo consenso di entrambe le parti, nel processo minorile a differenza di quello ordinario è sempre richiesto l’intervento dell’autorità giudiziaria, in particolare del pubblico ministero.

Se da un lato la giustizia riparativa ha trovato spazio nel processo penale minorile, dall’altro non possiamo far a meno di evidenziare alcune criticità della sua stessa applicazione.

Anzitutto se l’intento riparativo sorge durante la fase preliminare del processo, che come accennato in questi paragrafi potrebbe concludersi con una pronuncia di non punibilità per irrilevanza del fatto basata su prove raccolte senza che vi sia stato il contraddittorio tra le parti, si potrebbe ravvisare una violazione dell’articolo 111 della Costituzione risolvibile secondo alcuni mettendo in luce il consenso dell’imputato.

Un ulteriore dubbio nasce in merito alle disposizioni comportamentali dettate dall’articolo 28 del DPR 448/88 che vengono imposte ancor prima che vi sia una sentenza definitiva di colpevolezza; inoltre, se il processo non andasse oltre la fase preliminare, sussisterebbe il problema di definire l’iter procedimentale in nome dell’obbligo dell’azione penale.

Quest’ultimo punto è stato risolto a livello normativo dichiarando la tenuità del fatto con una sentenza di non luogo a procedere e dunque di fatto esercitando quanto disposto dall’articolo 112 della Costituzione.

Infine le disposizioni stabilite dagli articoli 28 e 29 del DPR 448/88 non prevedono l’inutilizzabilità ai fini della decisione delle dichiarazioni rese dalle parti durante la conciliazione, come invece previsto dall’art. 29 comma 4 del D.L. 274/2000.

In tema di giustizia riparativa le norme qui esaminate possono considerarsi un buon punto di partenza per l’applicazione di questo nuovo modello, ma certamente carenti per ciò che riguarda l’ordinamento interno e quello europeo.

Occorrerebbe dunque l’intervento del legislatore non solo per colmare le lacune della normativa già esistente, ma soprattutto per ampliare e rendere effettiva l’attuazione di strumenti conciliativi all’interno della nostra società.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...